martedì 15 gennaio 2019

Sophia Pfister - Birdcage (Self-Released)



di Luca Salmini
 
Il sole, le spiagge, l'estate perenne, Hollywood, Disneyland, la Capitol Records, i romanzi di Raymond Chandler, Venice Beach e Rodeo Drive: è facile illudersi che i 1210 chilometri quadrati di costa della California su cui si stende la città di Los Angeles siano il paradiso in terra, in particolar modo quando si hanno solo 18 anni e si è appena usciti da una scuola dell'Oregon dopo aver vinto una borsa di studio per il Berklee College Of Music, come è capitato a Sophia Pfister. Giovane, creola e bellissima, Sophia sarebbe potuta diventare una stella del cinema, una modella strapagata o la ballerina più sexy di un qualsiasi nightclub di Malibù, se non avesse coltivato sogni di rock'n'roll fin dall'adolescenza ed è con l'intenzione di realizzarli che abbandona il college dopo il primo anno e raggiunge la Città degli Angeli, il luogo dove tutto sembra possibile, compreso l'avvento del grande sogno americano. 
 
L'obiettivo della giovane artista non è però la conquista di un lavoro, una casa, una famiglia, una vita agiata e una bella auto, ma quello di tirar fuori tutto il talento che le scoppia dentro, come fosse qualcosa che preme per essere liberato. Lasciata la scuola, trova un lavoro in un'agenzia funebre, dove è forse possibile dare un'occhiata più da vicino a quel paradiso che crede di aver intravisto tra le luci del Sunset Boulevard, e comincia a scrivere canzoni e a suonare chitarra, banjo, dulcimer e autoharp, rendendosi subito conto di quanto l'esperienza sia molto più istruttiva di qualsiasi aula scolastica. Comporre canzoni le riesce facile e nel 2014 pubblica un omonimo EP di 5 brani: non è molto, ma abbastanza da capire quanto autentica sia la ragazza, benchè ad accorgersene siano ancora in pochi, se non il chitarrista extraordinaire Greg Leisz e un pezzo grosso della rock'n'roll scene di L.A. come Dave Alvin, ovvero i due nomi che fanno alzare le sopracciglia non appena si scorrono i crediti di 'Birdcage', il vero e proprio debutto di Sophia Pfister. 
 
Ma non è solo una questione di ospiti speciali, perchè, nonostante sia autoprodotto, fin dal primo ascolto 'Birdcage' è uno di quei dischi che lasciano senza fiato per la maturità delle canzoni, la qualità degli arrangiamenti e la meraviglia di una voce che comunica emozioni anche con un sospiro. Nel suo bellissimo libro “Il Disco Del Mondo” Walter Veltroni riportava questo pensiero dello sventurato jazzista Luca Flores, “...Amo quei musicisti che cantano, scrivono e suonano ogni nota come fosse l'ultima...”: Sophia Pfister ha tutta l'aria di appartenere a questa categoria di eletti o almeno è la sensazione che suscitano l'incanto di una voce sospesa tra la provocante emotività di Fiona Apple e il pensoso folk di Alela Diane e l'intreccio di raffinate melodie pop, corrusche polveri Americana e notturni chiaroscuri jazz che riempiono 'Birdcage', nemmeno fosse passato tra le mani di Joe Henry. 
 
Invece il disco è prodotto da John Shanks, registrato da Tom Weir e mixato da Paul Lamalfa, un'equipe di tecnici che è riuscita a conferire alle canzoni quel misto di glamour e malinconia e quel suono vivido e brillante che si ascoltano nell'elettricità delle fuliggini bluesy e del respiro desertico della titletrack, dove affiorano i canti tribali dei nativi White Buffalo Stands; nel crescendo di una clamorosa The Wheel in bilico tra jazz, musica etnica e Patti Smith o nello struggimento di una lirica ballata come la pianistica Bad Decisions. A volte Sophia Pfister da l'impressione di non aver paura di sbilanciarsi con beat dall'appeal radio friendly come quello che muove Loved By Strangers, ma per lo più pare preferire il filo spinato di ispiratissime serenate folk come la spaziosa e bellissima Drifting, di malumori indie rock come Ride The Wave o di aride scenografie roots come il magistrale duetto con Dave Alvin di Separate Ways. Lo sguardo fatale e la perfetta silhouette di Sophia Pfister possono far venire in mente le riviste di moda più trendy del momento o le passerelle della notte degli Oscar, ma la sua musica pare echeggiare da quegli stessi bassifondi che un tempo erano la dimora di spiriti liberi come Tom Waits, Rickie Lee Jones e Chuck E. Weiss. (9/10)