lunedì 16 ottobre 2017

Recensioni Brevi: Barr Brothers, Jeffrey Martin

The Barr Brothers - Queens of the Breakers (Secret City)













Fatidica terza prova discografica per l'interessante trio da Montreal, sempre più impegnato a definire un focus per la propria proposta musicale, stratificando il folk primigenio con suoni e atmosfere di varia natura, fino ad ottenere una miscela ricca e decisamente affascinante. 'Queens of the Breakers' non è un disco che si metabolizza immediatamente, necessita di un paio di ascolti attenti per assimilarne la profondità e gustarne le sfumature, spesso inserite in forma di disturbo sonoro o contrappunto appena percettibile. C'é il folk tout court di un brano splendido come Song that I Heard, costruito su un bel finger-picking attorno al quale si inerpicano ottoni pastorali, e c'é la sperimentazione di un ambient etereo, nell'iniziale Defibrillation, arricchita dalle belle voci delle iperattive Lucious. E poi l'ostinata sincope della rocciosa Maybe Someday, l'ansiogena ritmica ossessiva di Kompromat e il riverberato finale di Hideus Glorious. Un disco vario e coinvolgente che in qualche modo indica la direzione dell'attuale scena folk-rock nordamericana; terza prova ampiamente superata. (8/10)


Jeffrey Martin - One Go Around (Fluff & Gravy)













Terzo album anche per il trentatreenne folksinger texano, da qualche tempo domiciliato in quel di Portland, Oregon, sebbene la vocazione della musica, nell'ultimo lustro, l'abbia portato a vivere un'esistenza pressoché nomade. Non ancora annoverato tra i nomi che contano della scena neo-folk statunitense, Martin è un ottimo autore e un cantante dotato che spesso fatica a sbarcare il lunario ma continua a inseguire ostinatamente l'obbiettivo che l'ha portato ad abbandonare una tranquilla carriera di insegnante. 'One Go Around' è una metafora della vita e della sua unicità, e ci presenta un cantautore dalla forza espressiva notevole; Martin è in possesso di una splendida voce, sabbiosa nel timbro ed incisiva nel raccontare piccole storie bucoliche, condite coi profumi della migliore letteratura americana. Il suo background è chiaramente un fertile substrato sul quale si sono posate le spore di una creatività, certo lontanissima dalla sperimentazione originale, ma pregna di sapori e carica di sincerità. E' un disco nel quale gli ingredienti sono pochi e calibrati; non c'é quasi traccia di strumenti ritmici ma il risultato è valido sotto tutti i punti di vista e ci riporta allo Springsteen di Nebraska o al miglior John Prine. Con tutta probabilità questo lavoro non permetterà a Martin di rendere più stabile la propria esistenza, ma è un disco che merita molta attenzione: composizioni come Poor Man, Golden Thread, Billy Borroughs, Surprise, AZ e One Go Around sono gemme preziose. (8/10)