Con
soli sette album pubblicati in ventuno anni di carriera discografica, non si può
certo affermare che il quintetto dal Minnesota sia il combo più
prolifico del movimento Alt-Country; di sicuro possiamo considerarlo
uno dei più apprezzabili per coerenza e continuità nella proposta.
Roots-rock, Americana, chiamatela come volete, la musica dei Six Mile
Grove è questo: un condensato apprezzabile di rock venato di country,
con qualche sfumatura folk. Non aspettatevi dunque un viaggio nella
sperimentazione sonora più estrema, ma gustatevi questo bell'album nel
quale le chitarre la fanno da padrone, con solide armonie vocali, un
gusto apprezzabile per le ballate e, cosa più importante, una manciata
di canzoni oneste e ben scritte. Per chi rimpiange i bei tempi
all'esordio del movimento No Depression o addirittura certi stilemi del
Paisley Underground, questo è un lavoro capace di rinverdire i fasti
dell'epoca, dando parecchie soddisfazioni. Un disco che chi scrive
farebbe ascoltare a quelli che ciclicamente, con presuntuosa sicumera,
danno il rock per morto e sepolto. (7,5/10)
Júníus Meyvant - Across The Borders (Record Records)
La piccola Islanda è da sempre una fucina di talenti inesauribile: non c'é paese nella vecchia Europa che possa vantare una presenza di artisti altrettanto alta in proporzione al numero di abitanti. Se da decenni ci siamo abituati a sentir parlare di Sigur Ròs, Björk e discendenti assortiti, un soul singer ancora mancava all'appello; ecco dunque Unnar Gìsli Sigurmundsson aka Júníus Meyvant andare ad occupare la posizione vacante con questo bell'album, secondo in carriera, che in alcuni momenti pare uscito dai vecchi studi Motown, per le atmosfere vintage ma soprattutto per l'uso di orchestrazioni che richiamano i grandi classici dell'etichetta del Michigan, sebbene adeguatamente inserite in un tessuto sonoro con ampi slanci verso la modernità, e sta tutta qui la forza del disco. Dopo un piccolo straniamento iniziale, la naturalezza con cui Meyvant interpreta i brani fa scorrere l'album in maniera fluida, e ci porta ad attendere ogni traccia con curiosità. Sulle alte, la voce del nostro deve qualcosa a Rod Stewart, per il timbro, quella pasta un po' sgranata e quel graffio, fin troppo riconoscibili, ma nel corso del disco possiamo apprezzarne le sfumature. C'è qualche momento un po' ridondante negli arrangiamenti di archi e ottoni ma per il resto il disco si fa ascoltare con piacere, una bella sorpresa. Brani migliori: Love Child, Let It Pass, Carry on with Me. (7/10)