di Luca Salmini
Dici Germania e la prima cosa che ti viene in mente non sono certo cowboy, praterie e serpenti a sonagli; enormi boccali di birra semmai, la cancelliera Angela Merkel e magari la marca di un paio di auto di lusso, ma ad Amburgo vivono degli studenti di cinema che devono aver trascorso giorni, settimane, mesi, se non proprio l'intera adolescenza a fantasticare sui classici di John Ford, Sam Peckinpah e Sergio Leone. Il primo della classe è Nicolas Kuhl e quando con cinque amici, decide di plasmare delle musiche proprie intorno a quelle sequenze, è a quell'immaginario mitico e leggendario che si ispira. Il nome della band potrebbe essere il titolo di una di quelle pellicole e la musica che comincia a delinearsi fin dal 2004, è molto meno banale di quanto potrebbe far sospettare una ragione sociale come Il Ragazzo della danza della pioggia, perchè i Raindance Kid sembrano cominciare esattamente dal punto in cui i Sixteen Horsepower si erano interrotti, intrecciando epica western e urgenze rock'n'roll in un country gotico oscuro e affascinante.
I Raindance Kid hanno iniziato scrivendo per il cinema ovviamente e dopo un paio di singoli, arrivano oggi al debutto con il meraviglioso 'Swayer', un disco che profuma di quell'America periferica, dannata e selvaggia che si trova nelle pagine di Cormac McCarthy e nella febbrile miscela di Hank Williams, Creedence Clearwater Revival e Joy Division che riempiva un disco come 'Sackcloth 'n' Ashes', esordio lungo della mitica band di David Eugene Edwards. Non sono magari i passi del Vecchio Testamento ad ispirare i testi che Kuhl scrive e canta con devozione, isteria e carisma da predicatore pentecostale, ma l'idea di un Ovest lontano, spietato e seducente che riempie l'immaginazione di qualsiasi romantico sognatore o almeno è questa l'impressione che si delinea dalle cinematografiche scenografie tracciate dai riverberi di chitarre elettriche e acustiche, dall'inquieto rollio del banjo, dalle ariose partiture del violino, dalle planimetrie orizzontali delle tastiere e dalla spinta di basso e batteria che riempiono le splendide canzoni di 'Swayer', a partire dalla turbolenza di un'apocalittica Winterland, passando per il folk rock di una morriconiana e bellissima Song To The Mountain, fino alle cupe ombre della magnifica Black River.
Capita che i ritmi diventino concitati e quasi furiosi come in Anthem, una riscrittura più o meno fedele di American Wheeze dei Sixteen Horsepower, o che le chitarre sanguinino elettrizzante dolore nemmeno si trattasse di un disco dei Bad Seeds, come succede in una solenne Dead Hearts Choice, ma per lo più il folk rock dei Raindance Kid nasce da affascinanti e spaziose foschie elettroacustiche come quelle che si ascoltano in una desertica The Road, in una sulfurea titletrack, in una ispiratissima Letter To David o in una sciamanica e spettrale Last Song. Chiunque provasse nostalgia pensando a quanto i Sixteen Horsepower seminarono negli anni '90 o i Gun Club nel decennio precedente, potrà trovare consolazione in un disco come 'Swayer', che ne resuscita nitidamente poetica e immaginario. (9/10)