di Luca Salmini
Nel Regno Unito, sono davvero tanti i musicisti che nel corso degli anni hanno riscritto la calligrafia del blues delle origini secondo una sensibilità e un'estetica tutte inglesi e molti di essi sono addirittura delle superstar di caratura internazionale, ma la stessa fortuna non è purtroppo toccata ai Mudlow, seppure gli intenti e le prospettive fossero più o meno identiche. Formatisi a Brighton nel 2002, tra album, singoli ed EP, i Mudlow hanno alle spalle una discreta discografia ma davvero meno celebrità di quanta ne meriterebbero: una situazione d'impasse a cui tentano di porre rimedio con la pubblicazione di 'Waiting For The Tide To Rise', la prima antologia realizzata dalla band.
A vederli in qualche foto o nei video che girano in rete, i Mudlow hanno l'aria vissuta dei veterani: Tobias (voce e chitarra), Paul Beat (basso) e Matt (batteria e percussioni) non sono dei ragazzini con l'argento vivo addosso (anche se suonano come tali), ma tre working-class heroes dal basso profilo che battono il lato più oscuro, visionario e selvatico del blues, quello infestato dagli spettri del Delta, dalle ombre elettriche delle Mississippi Hills e dal whiskey dei Nighthawks At The Diner. Nulla a che vedere con divinità griffate della chitarra e nemmeno con i velluti della Royal Albert Hall, la musica dei Mudlow è la colonna sonora di una rissa da bar o di una sbornia colossale: un suono sudicio e malato che fa bollire il sangue e imperla di sudore la fronte come una febbre.
Quanto si ascolta in 'Waiting For The Tide To Rise', un titolo che sembra parafrasare le aspettative della band, sarebbe capace di commuovere un tipo tutto d'un pezzo come Seasick Steve o almeno è questa l'impressione quando partono lo sciamanico boogie di una zztoppiana Codename: Toad, l'urlo di disperazione di una nervosa So Long Lee, l'ipnotico maleficio di Evol o il melmoso giro d'accordi dell'elettrizzante MadMary Lou. Del resto il blues è sempre stato espressione di malessere o di una qualche forma di dolore ed è esattamente l'impressione che suscitano il sofferto dondolio notturno di una waitsiana Red Ribbon, il ruggito memphisiano di una Down In The Snow con tanto di fiati, il lamento lacerante di Damn Your Eyes, lo swingare soul di una fin troppo elegante The Jester, l'intensità di ballate acustiche come la bellissima Snowhill Farm o di scenografici downtempo come Crackling e Minnesota Snow. Non bisogna cercarli ai vertici delle classifiche o in qualche enciclopedia del rock, perchè i Mudlow sono tipi da bassifondi, dove la vita è un gioco d'azzardo e il blues è più profondo e viscerale. (7,5/10)