di Luca Salmini
A giudicare dalla smisurata mole di
album, singoli ed EPs pubblicata negli ultimi 25 anni, sembrerebbe
che le intenzioni di Simon Joyner siano quelle di stabilire un
qualche primato: una smodata fecondità che in generale non sminuisce
la qualità dell'opera o almeno non succede nel nuovo 'Step Into
The Earthquake', ultima fatica di studio del prolifico cantautore
di Omaha, Nebraska. Nonostante venga citato dai concittadini Bright
Eyes come un'influenza ed in passato sia stato perfino scelto da
Beck come uno dei suoi artisti prediletti, Joyner rimane
ancora un fenomeno tutto underground, un cantautore troppo sopra o
troppo sotto le righe per essere alla portata di tutti e troppo fuori
dagli schemi per avere uno spiraglio nel mercato attuale, rimbalzato
da un'etichetta all'altra senza mai scorgere un barlume di celebrità.
Una caparbietà che gli fa onore e un'onestà intellettuale che rende
Step Into The Earthquake quello che è: una poco omologata
mescola di cantautorato lo-fi, sussulti indie-rock, sfumature
Americana, sermoni blues e contemporaneo mal di vivere.
Sulla carta
un'inestricabile enigma, ma all'ascolto una formula che funziona e
affascina con un minimo di attenzione per le tante sonorità oblique
e con una certa empatia per le liriche inquietudini che animano la
musica di Simon Joyner. Nonostante si possa discutere dell'innata
inclinazione a perdere il senso della misura, a Simon Joyner non
mancano le idee e l'estro per realizzarle come si intuisce
chiaramente dall'ascolto di 'Step Into The Earthquake' e in
particolare dai venti minuti straordinari di I Dreamed I Saw Lou
Reed Last Night, una delirante omelia noisy e psichedelica che
pare appunto concepita con in testa le frizioni soniche e il profondo
malessere che esalano da un disco come White Light/ White Heat
dei Velvet Underground.
Non tutto Step Into The Earthquake
suona così “out of our heads” e in gran parte mantiene una certa
aderenza al formato canzone per quanto in un'ottica del tutto
visionaria, almeno a giudicare dallo stordimento di una ballata
vagamente coheniana come Hail Mary, dal country a brandelli di
Annie's Blues, dall'Americana cosmica e drogata di I'm
Feeling It Today, dallo struggimento di una caveiana e pianistica
Flash Forward To The Moon o dal folk lisergico di una
trasognata Earthquake.
Facile perdere l'orientamento in un
tale groviglio di chitarre elettriche e acustiche, di pianoforti e
fruscii, violini e percussioni, tamburi e pedal steel ad
accompagnare un canto che sembra quello di un Hank Williams strafatto
e in piena estasi mistica, ma alla fine le canzoni sembrano sempre
prendere il sopravvento, come succede in un'acustica Illuminations,
nella malinconica serenata della splendida Galveston's Blues,
in un malato blues come Daylight o nello scintillante dondolio
country-rock di una elettroacustica I'll Fly Away. Come
avesse mandato a memoria il Lou Reed più stravolto citato nella
traccia conclusiva, il Bob Dylan più astratto di Blonde On Blonde
e perfino le stupefacenti ballate di Alexander “Skip” Spence,
Simon Joyner è un talento ancora tutto da scoprire e 'Step Into
The Earthquake' uno di quei dischi che si potrebbero sentire per
una vita intera senza che la meraviglia suscitata dalle canzoni
smetta di abbagliare l'ascoltatore. (7/10)