mercoledì 7 ottobre 2009

Mark Knopfler - "Get Lucky" (Warner)


Ci sono artisti che passano intere carriere a perseguire un ideale di mutamento continuo, dedicandosi testardamente alla ricerca di difficili forme di originalità, quasi fossero preda di un'insicurezza tale da non farli sentire tranquilli nemmeno di fronte al raggiunto successo planetario.

Altri preferiscono “accomodarsi” su strade già battute, cercando di dipingerne ogni complessa sfumatura, mostrando visuali ed ottiche di insospettabile varietà. E' questo il caso dell'ex-leader dei Dire Straits, giunto ormai alla sesta fatica solista, ennesimo piccolo tassello inserito in un percorso rettilineo che erroneamente potrebbe far pensare ad una stanca vena compositiva.

Niente di tutto questo, Mark Knopfler è semplicemente un musicista soddisfatto del proprio status, che sa di non avere più nulla da dover dimostrare e può permettersi di registrare un album quando ne ha voglia, facendosi accompagnare da un affiatato gruppo di amici fidati.
La calda voce, le sonorità personalissime, un notevole gusto per le finezze in fase di arrangiamento e le forti influenze roots/folk rendono gli album solisti di Knopfler suadenti e raffinati, sicuramente piacevoli anche ad un ascolto poco attento, ma sorprendenti per ricchezza di particolari se analizzati minuziosamente.

Il sessantenne Mark anche in questa occasione ha messo insieme una manciata di brani solidi ed evocativi, registrati nei British Grove Studio di Londra in compagnia del fido Guy Fletcher, sodale di vecchia data e fautore di sonorità limpide e cristalline, che esaltano le chitarre e la voce di Knopfler, incorniciandole dentro arrangiamenti complessi ma mai pomposi o ridondanti.
E' facile rintracciare, tra i solchi di questo album, l'ottica descrittiva che Knopfler ha inserito di prepotenza nella propria musica dai tempi dei primi approcci al mondo delle colonne sonore, campo nel quale si è rivelato autore prolifico e di indubbio valore. Sono tanti i riferimenti cinematografici che affollano la mente durante l'ascolto di queste tracce.

Knopfler decide di aprire e chiudere l'album con brani di forte impronta tradizionale, quel folk britannico tra Scozia (il Nostro è nato nel 1949 a Glasgow) ed Irlanda, con whistle, archi e chitarre acustiche a condurre le danze, prima di una furiosa giga -l'iniziale Border Reiver, scelta anche come singolo trainante- poi di una meditativa ballad dal forte impatto emotivo, la conclusiva, intensa, Piper To the End.

Tra le digressioni folk si dipana un paesaggio tinto di sfumature brumose, dal denso incedere autunnale, che parte dalla morrisoniana Hard Shoulder, proseguendo sulla strada del blues raffinato e in qualche modo ironico della successiva You Can't Beat The House, brano che pare uno scherzo estemporaneo da “buona la prima” in studio.
Il capolavoro non tarda ad arrivare, Before Gas And TV denota nuovamente le influenze folk, con violino, tin whistle e fisarmonica ad impreziosire le architetture chitarristiche in un crescendo magistrale, una ballad che decolla con il lineare solo di chitarra di Knopfler, semplice nello sviluppo, ma indubbiamente da pelle d'oca, quasi sei minuti di grandissima musica.

Monteleone abbassa un po' la tensione; il brano, seppur ben suonato ed arrangiato, non convince appieno, molto meglio il successivo Cleaning My Gun, southern rock potente, pezzo che non ti aspetteresti dall'ultimo Knopfler, sapido e tagliente, con un gran lavoro di chitarre. Ottima anche la successiva The Car Was The One, a tratti dylaniana, soprattutto nell'utilizzo della voce, ben inserita in un morbido arrangiamento per mandolini ed archi.

Western-sound per l'attacco di Rememberance Day, brano vicino al glorioso passato coi Dire Straits, riporta alla mente i migliori episodi di Making Movies.
La title-track ricorda vagamente la storica Genesis presente sul capolavoro di Jorma Kaukonen Quah (1974), bel pezzo che parte solo voce e chitarra e va in crescendo con l'ingresso di organo, mandolino, batteria e pianoforte.

Ancora l'ombra di Dylan per un'altra ballad di grande intensità: So Far From The Clyde, fiera nello sviluppo melodico ricco di continui accenni folkie, a sfociare in un finale onirico che in qualche modo anticipa la già citata Piper To the End.
Una nuova prova d'orgoglio per il cantautore scozzese, autore raffinato ed eccezionale interprete, che riesce ad infondere ai propri lavori tutta l'intensità delle emozioni più forti.