giovedì 12 marzo 2009

U2 - "No Line On The Horizon" (Mercury)


Anticipata dal singolo Get On Your Boots, brano non propriamente ascrivibile tra i capolavori della band irlandese, l'uscita di questo No Line On The Horizon era comprensibilmente guardata con circospezione da fans e critica, ancora scottati dalle poco fortunate ultime produzioni firmate da Bono & Company, album inconsistenti, privi di qualsivoglia spunto creativo, da alcuni indicati come epitaffio di una band in totale crisi creativa, sebbene ancora in grado di vendere parecchie copie (nove milioni il solo How To Dismantle An Atomic Bomb, 2004).


A trent'anni dall'esordio quindi, dagli U2 ci si aspettava un guizzo importante, un ritorno ad alti livelli compositivi, per rinverdire i fasti di una band ancora amata dal pubblico, ma da più di dieci anni incapace di pubblicare un lavoro all'altezza dei grandi album del passato.

Registrato tra Fez (Marocco), Dublino, New York e Londra, No Line On The Horizon vede la presenza in studio, in veste di produttori, di un trio fantascientifico: Daniel Lanois, Brian Eno e Steve Lillywhite, collaboratori di lunga data della band.


Il lavoro dei tre risulta come sempre ineccepibile, Lanois ed Eno cesellano sapientemente suoni ed atmosfere, mantenendo in primo piano le sfumature con toni di ampio respiro, mentre Lillywhite assicura una solida componente rock. Dietro ai brani si percepisce un lungo lavoro di produzione, quasi si sentisse la necessità di arricchire le composizioni  privilegiando la qualità piuttosto che la quantità. Ne risulta un album nel complesso più che dignitoso, con alcuni brani all'altezza della fama della band ed un paio di episodi meno riusciti.


L'iniziale title-track riporta alle sonorità di Achtung Baby, con le ritmiche up-tempo elettroniche miscelate alla batteria di Larry Mullen Jr, le chitarre a lavorare di fino e l'immancabile vocalità antemica di Bono. Magnificent si dipana invece da un tappeto di tastiere retrò, evolvendo in granitico crescendo chitarristico, nel quale The Edge ritorna a macinare accordi come ai bei tempi.

Moment Of Surrender è una ballata evocativa, nella quale è palese l'influenza di Eno. Siamo di nuovo ad alti livelli, sonorità splendide con chitarre ed organo ancora sugli scudi, Bono finalmente all'altezza della situazione e brano che cresce ascolto dopo ascolto. 


La successiva Unknown Caller densa di sonorità molto particolari, influenzate sicuramente dal soggiorno in Marocco, vede un bellissimo arpeggio a far da guida ad uno dei punti più alti dell'album. I'll Go Crazy If I Don't Go Crazy Tonight è brano minore, con una struttura risaputa, classicamente U2, senza infamia e senza lode.


Get On Your Boots è il tipico pastiche trito e ritrito che gli U2 hanno propinato troppo spesso negli ultimi anni, fortunatamente incide poco o nulla sulla resa finale dell'album, lasciando spazio alla decisamente più interessante Stand Up Comedy, solida e ritmata, ben interpretata da Bono.

FEZ-Being Born è episodio di poco conto, brano che sembra voler soddisfare la voglia di sperimentare di Eno, più che rappresentare la nuova rotta della band irlandese.


La conclusione dell'album è invece affidata ad un trittico decisamente convincente, aperto dalla ballad White As Snow, eterea nello svolgimento, cantata con drammaticità da Bono su un tappeto di chitarra flat, molto americana nelle sonorità, veicola un testo poetico ed intenso; a seguire Breathe, ruvida anthem-song come gli U2 non ne proponevano da tempo, figlia illegittima di Bullet The Blue Sky, con pianoforte e chitarre sparati a mille e la voce a declamare vigorosa. Gran pezzo.

Finale con Cedars Of Lebanon, lanoisiana fino al midollo, con la batteria marziale e Bono ad accarezzare tonalità involute.


Un album che non rappresenterà il “grande” ritorno per la band irlandese, ma riaffranca gli U2 con la buona musica, grazie ad una serie di brani per la cui riuscita, ancora una volta, il lavoro di Eno e Lanois si è rivelato fondamentale.