sabato 27 dicembre 2008

The Fireman - "Electric Arguments" (One Little Indian/Goodfellas)


Sono passati quindici anni dall'uscita di Strawberries Oceans Ships Forest (1993), album dall'enigmatica copertina rossa che segnò l'incontro fra Paul McCartney e Youth (produttore ed ex-membro di Orb e Killing Joke). Quel disco fece sussultare i fans del buon Macca, alcuni dei quali letteralmente inorridirono davanti al presunto scempio fatto dalla coppia nei confronti dei lavori solisti dell'ex-Beatles, rivisti, destrutturati e ricomposti in chiave strumentale dance ed house.

Il lavoro successivo, Rushes (1998), pur mostrando qualche miglioramento, continuava sulla linea del debutto, mantenendo un'intenzione sperimentale ed estrema, senza concedere ai fans quei guizzi di genialità creativa che contraddistinguevano anche gli album meno riusciti di McCartney.
L'annuncio di questa terza prova per il duo pareva quindi non promettere nulla di buono ma, come spesso accade con il Nostro, il risultato è sorprendentemente interessante, finalmente i due decidono di dare spazio alla forma canzone più canonica, mantenendo ricerca e sperimentalismi ma tenendo a freno le velleità più estremiste. 

E finalmente Paul canta, come da anni non lo si sentiva cantare.
La maggioranza dei tredici pezzi dell'album risulta quindi godibile, dinamica, con qualche immancabile eco beatlesiana e le classiche zampate vocali del bassista di Liverpool.
L'iniziale Nothing Too Much Just Out Of Sight, sorta di moderno blues malato, aperto da un'armonica filtrata, ha un'incedere dispari scandito da una ritmica marziale, voce potente e distorta, chitarra slide southern-style ed un ritornello devastante; una splendida anthem song che apre il disco nel migliore dei modi e fa ben sperare. Finale distorto e psichedelico con Macca a sfogare gorgheggi sui feedback delle chitarre. Gran pezzo.

La successiva Two Magpies si apre con un'intro radiofonica, poi si trasforma in un breve pezzo shuffle con spazzole, chitarre acustiche e la voce di Paul, solista e controcanto, che va a toccare quelle tonalità flebili che ci fanno tornare indietro nel tempo. Il gran groove e piccoli inserti ad effetto, mai invadenti, rendono il brano gradevolissimo.
L'arpeggio iniziale di Sing The Changes, quasi byrdsiano, introduce una ballata sostenuta, molto riverberata, con un bell'intermezzo evocativo, non un pezzo che rimarrà negli annali, ma buon preludio ad uno dei capolavori dell'album.

Travelling Light è una delicata poesia in musica, sostenuta da un arrangiamento minimale che mischia suoni sintetici e arcaici, synth e campioni a spazzole e flauto, con gusto e sobrietà. Sognante e immaginifica, porta alla mente il prog inglese dei '70. Gran pezzo.
Highway torna ai canoni rock, con un riff sixties, armonie vocali ficcanti ed un ritornello di quelli che ti ossessionano appena sveglio. 

Light From Your Lighthouse è la cover di un classico gospel riveduto in chiave moderna, Beck incontra Johnny Cash. Macca canta con voce grave e monta un castello di armonie vocali. Pezzo simpatico, divertissement di metà album.
Sun Is Shining parte arpeggiata, con acustiche ed elettriche ad intrecciarsi fino all'ingresso della batteria, che mette ordine al tutto. Pezzo di transizione, poco incisivo, ha un ritornello forse un po' troppo debole, con coretti un po' banali.

Dance 'til We're High avvicina McCartney alla sua controparte americana dei '60: Brian Wilson. Ritmica tipicamente Beach Boys e struttura molto elaborata, con voci, percussioni ed archi forse un po' troppo ridondanti, ma è un brano che ha bisogno di diversi ascolti per essere compreso appieno.
Lifelong Passion ha di nuovo la psichedelia nel cuore, modernissima nei suoni, ma ancestrale nelle intenzioni, influenzata da certa world music che evidentemente non manca negli ascolti del Nostro.

Paul raggiunge l'apice dell'intensità vocale ed il pezzo cresce alla distanza, evocativo e denso.
Un flauto introduce la seguente Is This Love, nella quale manca un po' di equilibrio, pare un esperimento inconcluso.
Lo scheletro dei primi due lavori esce dall'armadio con Lovers in a Dream, inutile brano trance con voci ed effetti al limite del fastidioso, 5 minuti e 22 che si potevano spendere meglio.
Universal Here Everlasting Now, con un incipit per piano e cane (!), ha una vocazione iniziale ambient, spazzata via da una batteria sintetica ossessiva. Anche qui siamo in territori già esplorati precedentemente dal duo.

La conclusiva Don't Stop Running torna a proporre uno stile più canonico, con un'intro che sembra un omaggio a George Harrison. Paul ritorna ad un lirico farsetto ed il pezzo, sebbene risulti ritmicamente un po' banale, funziona bene. 
Il disco include infine la classica ghost-track, un papocchio di suoni sintetici e voci al contrario che ricorda il peggior Jean Michel Jarre.

In conclusione un disco con due facce ben distinte, forse Macca avrebbe fatto meglio a pubblicare due ep separati, o un album con qualche riempitivo in meno, avrebbe soddisfatto di più i fans. Di certo le attese non sono state deluse come in precedenza. Merita più di un ascolto.