di Luca Salmini
“...Abbiamo già sentito tutto, lo ripetiamo solo per esserne certi...” canta Pedrum Siadiatan in Daily Gazette, la prima canzone del suo esordio solista a nome Paint: un verso che potrebbe spiegare le ragioni di un disco che pare un nitido riflesso dell'estasi psichedelica che illuminò la California tra il 1965 e il 1968 e che oggi continua a pervadere le traiettorie di una band come gli Allah-Las, il collettivo in cui Siadiatan suona la chitarra come fosse ormai passato oltre le porte della percezione.
Sebbene l'idea di un debutto fosse in gestazione da qualche tempo, le canzoni di 'Paint' hanno cominciato ad affiorare solo nel 2016 al termine della realizzazione di 'Calico Review', l'ultimo lavoro di studio degli Allah-Las, quando Siadiatan le ha incise con in mente le poesie di Gregory Corso e John Lennon e le ballate di Kevin Ayers e Syd Barrett: materiale troppo freak anche per una banda di hippie come gli Allah-Las, che comincia a coagularsi in canzoni quando ci mette le mani il produttore Frank Manton e quando il batterista Matthew Correia (Allah-Las) e il multistrumentista Nick Murray (White Fence, Thee Oh Sees) entrano a far parte del progetto Paint.
Sospeso tra le stralunate melodie di Skip Spence, i barocchismi degli Strawberry Alarm Clock e le slabbrate visioni dei Velvet Underground, 'Paint' è composto da oniriche ballate folk-rock dal respiro lisergico e da aciduli acquerelli elettrici in cui echeggiano chitarre fuzz e organi Farfisa dall'affascinante suono vintage, retaggio del periodo più prospero e creativo attraversato dall'intera storia della musica.
I Paint esplorano il lato più dolce e sognante della musica psichedelica con canzoni che evocano l'inquietante atmosfera idillica di Sunday Morning dei Velvet Underground e il tintinnare jingle jangle dei Byrds, come accade in una loureediana Daily Gazette, in un'incantevole e riverberata Plastic Dreams, nei saliscendi melodici di Moldy Man, nel mantrico refrain della velvettiana Silver Streaks, nella marcetta beatlesiana di Just Passin' Through, nello sfasato pop di Wash o negli arrangiamenti orchestrali dello stupefacente strumentale Heaven In Farsi. Pervaso dall'acerba innocenza dei sixties, 'Paint' è un disco pieno di “buone vibrazioni”, che è bene perpetuare e piacevole riassaporare, soprattutto considerando i tempi che corrono. (7/10)
“...Abbiamo già sentito tutto, lo ripetiamo solo per esserne certi...” canta Pedrum Siadiatan in Daily Gazette, la prima canzone del suo esordio solista a nome Paint: un verso che potrebbe spiegare le ragioni di un disco che pare un nitido riflesso dell'estasi psichedelica che illuminò la California tra il 1965 e il 1968 e che oggi continua a pervadere le traiettorie di una band come gli Allah-Las, il collettivo in cui Siadiatan suona la chitarra come fosse ormai passato oltre le porte della percezione.
Sebbene l'idea di un debutto fosse in gestazione da qualche tempo, le canzoni di 'Paint' hanno cominciato ad affiorare solo nel 2016 al termine della realizzazione di 'Calico Review', l'ultimo lavoro di studio degli Allah-Las, quando Siadiatan le ha incise con in mente le poesie di Gregory Corso e John Lennon e le ballate di Kevin Ayers e Syd Barrett: materiale troppo freak anche per una banda di hippie come gli Allah-Las, che comincia a coagularsi in canzoni quando ci mette le mani il produttore Frank Manton e quando il batterista Matthew Correia (Allah-Las) e il multistrumentista Nick Murray (White Fence, Thee Oh Sees) entrano a far parte del progetto Paint.
Sospeso tra le stralunate melodie di Skip Spence, i barocchismi degli Strawberry Alarm Clock e le slabbrate visioni dei Velvet Underground, 'Paint' è composto da oniriche ballate folk-rock dal respiro lisergico e da aciduli acquerelli elettrici in cui echeggiano chitarre fuzz e organi Farfisa dall'affascinante suono vintage, retaggio del periodo più prospero e creativo attraversato dall'intera storia della musica.
I Paint esplorano il lato più dolce e sognante della musica psichedelica con canzoni che evocano l'inquietante atmosfera idillica di Sunday Morning dei Velvet Underground e il tintinnare jingle jangle dei Byrds, come accade in una loureediana Daily Gazette, in un'incantevole e riverberata Plastic Dreams, nei saliscendi melodici di Moldy Man, nel mantrico refrain della velvettiana Silver Streaks, nella marcetta beatlesiana di Just Passin' Through, nello sfasato pop di Wash o negli arrangiamenti orchestrali dello stupefacente strumentale Heaven In Farsi. Pervaso dall'acerba innocenza dei sixties, 'Paint' è un disco pieno di “buone vibrazioni”, che è bene perpetuare e piacevole riassaporare, soprattutto considerando i tempi che corrono. (7/10)