di Chris Airoldi
Attivissimo polistrumentista e autore statunitense, ormai stabilmente trapiantato in Irlanda, il 31enne Peter Broderick è uno dei talenti più interessanti apparsi negli ultimi tempi sulla scena musicale. Appassionato sperimentatore di suoni e atmosfere, ha percorso le strade della musica in tutte le direzioni, da solo o in compagnia di nomi del calibro di Nils Frahm, M.Ward, David Allred e Laura Gibson. Titolare di una già nutrita discografia, a pochi mesi dall'ottimo 'All Together Again' (Erased Tapes), ritorna sugli scaffali dei negozi con questo tributo ad un musicista al quale è stato spesso accostato: lo sfortunato Arthur Russell, poliedrico cantautore/violoncellista dall'Iowa, scomparso a soli 40 anni nel 1992. Circondato da una bella schiera di amici tra i quali spiccano i nomi di Peter McLaughlin, Brigid Mae Power e il già citato Allred, Broderick mette mano a dieci composizioni di Russell, registrando un tributo decisamente interessante, nel quale spiccano le atmosfere minimali di Words of Love e Losing My Taste for the Nightlife, i ritmi lievi di Come to Life e A Little Lost e l'estasi finale della drammatica You Are My Love. Un disco che conferma la bravura di Broderick, anche in veste di arrangiatore e interprete di brani altrui, ma soprattutto invita alla riscoperta del lavoro di un talento che rischiava ingiustamente di finire nel dimenticatoio. (7,5/10)
Emma Ruth Rundle - On Dark Horses (Sargent House Records)
di Luca Salmini
Lo sprofondo in quelle che lo scrittore
John Steinbeck chiamerebbe le “...buie e desolate grotte della
mente...”: è questa l'impressione che suscita l'ascolto di 'On
Dark Horses', quarto album di Emma Ruth Rundle, giovane
cantautrice di Louisville, Kentucky, che si muove tra la poesia
gotica di Marissa Nadler e il doom folk di Chelsea Wolfe, a grandi
linee punti di riferimento del suono oscuro e grave di On Dark
Horses; un lavoro sospeso tra le plumbee frustate elettriche
delle chitarre e l'impatto lirico di un canto che trasuda tormento e
inquietudine come se canzoni struggenti e dall'aria maledetta come la
febbricitante Fever Dreams, la sciamanica Darkhorse
o l'apocalittica Dead Set Eyes fossero
la penitenza con cui espiare una colpa o la fiamma con cui
cauterizzare una ferita. Ombre profonde e poche, fioche luci
perfino in un brano intitolato Light Song che si snoda lento e
magmatico tra le deflagrazioni e le derive post delle chitarre, e
nemmeno nel respiro onirico di ballate che evocano l'ipnotismo dei
Mazzy Star come Races e la meravigliosa You Don't Have to
Cry oppure nei vaghi brividi western di un'intensa Apathy On
The Indian Border. Affascinante e cupo come fosse stato concepito
in una notte priva di stelle, On Dark Horses pare custodire il
lato più tenebroso del cantautorato al femminile statunitense: una
dark side che Emma Ruth Rundle incarna alla perfezione. (7,5/10)