lunedì 19 marzo 2018

Jack White - Boarding House Reach (Third Man/Columbia)


di Chris Airoldi

Sono passati quattro anni dall'ottimo 'Lazaretto', album con il quale l'eclettico musicista da Detroit dimostrava ancora una volta il proprio valore, grazie ad una fervida vena creativa e alla capacità di imperversare in tutti gli ambiti musicali senza perdere un minimo di coerenza stilistica; e non si può certo dire che in questo lasso di tempo Jack White sia stato con le mani in mano. Ormai titolare di una delle realtà imprenditoriali più seguite ed imitate nell'ambiente musicale, produttore e autore richiestissimo, lo stralunato ex-ragazzo del Michigan si è dimostrato in grado di monetizzare ogni attività nella quale si è cimentato, raggiungendo uno status invidiabile nell'establishment musicale dei nostri tempi.

Questo terzo lavoro solista di White arriva dunque portandosi appresso un carico di attese non indifferente, ed il risultato è senza ombra di dubbio interessante: un lavoro eterogeneo, con ben visibili alcuni dei tratti caratteristici della penna del Nostro, ma con la consueta voglia di spaziare tra suoni e colori per generare una palette variegata e originale. White in studio sa dove mettere le mani ed anche negli episodi all'apparenza più semplici o meno ispirati riesce ad inserire la proverbiale zampata che dà al tutto la spinta giusta per centrare l'obiettivo. 

Apre il disco Connected by Love, già edito come singolo; brano dall'incedere granitico, con un maestoso piano e una possente ritmica a scandire la marcia. Tra synth, voci gospel e un andamento da blue eyed soul rivisitato con intenzione acida e quasi rabbiosa, il brano segue una via in salita, fino all'esplosione del solo centrale per organo e chitarra. White canta bene, molto ispirato, un inizio decisamente di alto livello. Il mood si mantiene carico con la seguente Why Walk a Dog?, ballata oscura con inserimenti feroci di elettronica, ancora con l'organo in bella evidenza e una chitarra marcia e lancinante a menare fendenti pesanti, drammatici.

Gran groove quello di Corporation, manifesto programmatico del lavoro, con piano elettrico e chitarre a ricamare all'unisono un tessuto sonoro hard-boiled/black da colonna sonora anni '70, con le congas nervose a recitare la parte protagonista. Brano esaltante nell'incedere, per gli amanti del ritmo:"Who wants to start a Corporation?". Abulia and Akrasia è invece un brano breve ed essenziale, caratterizzato da una atmosfera sommessa e riverberata tenuta in piedi da piano ed archi, sulla quale si inserisce il drammatico speech dell'australiano C.W.Stoneking, una parentesi molto intensa. 

La sperimentazione elettronica torna prepotentemente in Hypermisophoniac, brano il cui incipit pare uscire da un vecchio videogioco che si sviluppa ancora una volta su ritmiche cadenzate, con arresti e ripartenze caotiche, belle armonie vocali e i soliti piano e chitarra a spartirsi gli ottimi interventi solisti. Brano non facile nell'andamento ma che dopo un paio di ascolti si insinua sottopelle. Ice Station Zebra è ovviamente ispirato al vecchio film di John Sturges, ed è un brano ritmato con una parte cantata rappeggiante e l'ennesimo andamento irregolare, con le congas e il piano Rhodes a rivestire ruoli importanti. Sul finale White dà sfogo alla propria voglia di "spezzare" la musica e il brano prende un andamento nervoso un po' indigesto ma affascinante.

Meglio la seguente Over and Over and Over, che permette a White di far deflagrare uno dei suoi migliori riff à la Zeppelin, con una bella batteria sincopata, voci femminili sfrontate, e un'altra abbondante dose di  chitarra ultra-effettata e congas. Everything You Ever Learned parte con una sorta di computer in tilt che ripete la frase del titolo ossessivamente, per aprirsi su una ritmica scandita dalle ormai onnipresenti congas, White che si trasforma in predicatore pagano, portando alla mente in qualche modo il miglior Roger Waters. Respect Commander era il secondo singolo ad anticipare l'album; White la piazza sull'album con tanto di falsa partenza, non si sa quanto voluta. Non è il pezzo migliore della raccolta.

Dopo tanto ritmo ecco una parentesi più meditata: l'arpeggiata Ezmerelda Steals the Show,  ballata con la voce doppiata a recitare il testo, su un accordo semplicissimo di chitarra. Breve e concisa, molto particolare, non ci dà quasi nemmeno il tempo di metabolizzarla che è già andata. Get in the Mind Shaft mette sul piatto l'ennesimo speech a far da intro ad una composizione electro-funk dalla struttura articolata ma meno interessante delle precedenti. Decisamente più riuscita What's Done is Done, che si dipana su percorsi country-soul elettronici, per un effetto inizialmente straniante; superato l'impatto iniziale se ne riconosce la semplice bellezza intrinseca.

Chiude il disco la delicata ballad Humoresque, con piano, voce e poco più. Un brano dalla struttura iniziale quasi scolastica che poi si dipana su vie insospettabilmente jazzy, con un afflato sentito e onesto, degna conclusione per un album che a parere di chi scrive centra il punto meglio di quanto non avesse fatto 'Lazaretto'. Un lavoro che senza troppa fatica troveremo nelle classifiche di fine anno; la maturazione di White è sempre più tangibile, disco consigliato (8/10)