di Luca Salmini
Basta forse la prima pennata di chitarra di questo secondo album omonimo per intuire che Alex Lipinski è un cantautore con qualcosa da dire, e se si approfondisce l'ascolto diventa sempre più limpida la sensazione che questo giovane artista non sia capitato per caso nel mondo del music business. Di origini polacche ma cresciuto in Inghilterra, Lipinski suona la chitarra da quando ha 10 anni e a 16 già si esibisce nei locali di una piccola cittadina del Somerset, dove interpreta un repertorio ispirato ai modelli che hanno influenzato più di una generazione: al principio sono i Beatles e Elvis Presley a solleticare la sua fantasia, successivamente Bob Dylan diventa la sua musa e quando il sogno di diventare un musicista non è più una chimera, comincia a frequentare gli stessi bar di Londra dove i Kinks e i Rolling Stones avevano cominciato, mentre è tra gli spettri che abitano le stanze del Chelsea Hotel di New York, che comincia a scrivere le prime canzoni.
Finanziato con i soldi dei concerti, pubblica l'esordio Lonesome Train nel 2010; nel 2015 da vita ad un progetto con il chitarrista Paul Bonehead Arthurs degli Oasis che frutta un EP a nome Phoeneys & The Freaks e di recente conquista i favori di Anton Newcombe dei Brian Jonestown Massacre, che lo invita nel suo studio di Berlino per incidere il nuovo album Alex. Con la produzione di Newcombe, Lipinski impiega appena 6 ore per registrare il disco mettendoci tutto l'entusiasmo dell'esordiente e l'urgenza di un cantautore con milioni di storie da raccontare. Alex sembra cominciare esattamente dallo stesso punto in cui il debutto di Jake Bugg si era interrotto, mescolando la grinta del rockabilly con le armoniche del folksinger, il romanticismo dello storyteller con l'impeto del ribelle in una serie di canzoni elettroacustiche che profumano vagamente di sixties ed evocano a tratti le lunatiche malinconie del Ryan Adams degli esordi.
Come spiega Lipinski “...negli ultimi anni...una certa rabbia è andata montando, scatenata dalla visione dei notiziari e dalla lettura dei giornali...”: un sentimento che sfoga quando partono febbrili rock'n'roll come la nervosa Lonely Kid, elettrizzanti folk song come Going Nowhere Fast e la malinconica e bellissima The Devil You Know, schiette esortazioni alla protesta come Come On People o brani d'ispirazione blues come Dandylion Blues; ma che trova consolazione tra la cristallina melodia di ballate romantiche come Carolyn, tra l'idillio acustico di un basico country-folk come l'intensa Hurricane o tra il retaggio dylaniano di un'incantevole Sophie's Song. “...il futuro di Lipinski è luminoso. Ha la voce, le canzoni e la giovinezza dalla sua parte...” scriveva il giornalista Mick Taylor della rivista Guitarist: sospeso tra l'America di Bob Dylan e l'Inghilterra di Ray Davies, Alex non fa che confermare l'esattezza di quella previsione. (7/10)