martedì 26 dicembre 2023

The Felice Brothers - Asylum on the Hill (Self)


di Chris Airoldi

La fine del 2023 è stata decisamente prodiga di buona musica: ci ha regalato il grande ritorno di alcuni nomi illustri, diverse solide conferme e qualche stuzzicante nome nuovo che sarà il caso di tenere d'occhio nel prossimo futuro. In piena zona Cesarini è saltato fuori a sorpresa questo 'Asylum on the Hill', pubblicato il 15 Dicembre nel solo formato liquido, scaricabile dalla pagina Bandcamp dei Felice Brothers, un disco che arriva a due anni di distanza dall'ottimo 'From Dreams to Dust' (Yep Roc 2021), da molti considerato tra i migliori lavori della band da Catskills, NY. 

Registrato come il precedente nella vecchia chiesa di Harlemville che i fratelli hanno trasformato in studio, vede alla consolle e alla co-produzione il fido Nate Wood, sempre più a proprio agio coi suoni minimali e intensi, spesso flebili, della band di Ian e James Felice. Solo dieci giorni di lavoro, per 12 brani decisamente belli, dai quali traspare una stramba atmosfera di rilassatezza, probabilmente frutto della totale mancanza di pressioni discografiche o produttive. Ma attenzione: non si tratta di un disco leggero e spensierato, bensì di un lavoro ispirato e concreto, estremamente maturo, che allinea una prodigiosa serie di racconti in musica, con qualche momento lieve ma in prevalenza temi molto profondi e affascinanti. 

Ian Felice lo ha definito: "un disco sul fare musica perché amiamo farla; (un disco) che parla di gerani rossi che diventano mostruosamente grandi e potenti, di varie deformità del cuore e della mente, e del ritorno inaspettato di un musicista di strada, morto da tempo e dimenticato". Un miscuglio dunque interessante e peculiare, tutto da assaporare, che già dopo pochi ascolti riesce a farci ammettere di aver chiuso forse troppo presto la lista dei migliori dischi dell'anno: 'Asylum on the Hill' vi si colloca senza dubbio a pieno titolo, e siamo certi non saremo i soli a rimettere mano alle nostre classifiche per una irrinunciabile variante in corso d'opera. 

L'intensa ballad iniziale Candy Gallows è tanto profonda nel testo quanto riuscita nell'arrangiamento; semplice per approccio ma carica in fase strutturale, con le voci (un amico direbbe: "hanno portato i Beach Boys in chiesa") usate alla perfezione per sostenere l'andamento generale e sottolineare un crescendo centrale/finale molto emozionante. Un'apertura di lavoro intrigante, che fa da apripista all'apparente frivolezza musicale di una ritmica Strawberry Blonde, la quale volutamente richiama melodie pop pre-masticate per infilarsi agilmente sottopelle e rilasciare il carico pesante di un testo assolutamente amaro. L'illusoria leggerezza resta solamente nella banale dichiarazione contenuta nel ritornello ("Strawberry Blonde, I love you"), ma tutto il resto delle liriche ci parla di un amore deluso, disperato e bistrattato, mentre un piano beffardo e le voci in qualche modo se la ridacchiano in sottofondo.

Abundance è una gemma oscura che apre come una soul ballad d'altri tempi, con il basso a dettare il ritmo, per poi sputare fuori un ritornello corale, sgangherato ma potente, che dà ancora più forza ad un testo sulla solitudine e il disincanto. Fisarmonica e piano allestiscono una struttura musicale solida, sulla quale prospera una coralità forte e incisiva, quasi broadwayana, per un brano strepitoso. Teeth in the Tabloids è invece una piano ballad che assieme alla successiva Macrame ci porta alla mente i territori cari a The Band o ai migliori Jayhawks, ma in un'ottica dimessa. Le voci a duettare, il piano in contrappunto, la batteria quadrata, per un tuffo in piena atmosfera No Depression, Roots Rock o Americana, chiamatela come diavolo vi pare. 

C'é spazio anche per qualche momento più scanzonato, con la movimentata Green Automobile e la sincopata When Susie Was a Skeleton; la prima è introdotta da un piano verticale con un suono da saloon che trova la complicità nella gestione del ritmo in una cowbell, mentre la seconda è una sorta di filastrocca divertita con un testo molto acuto. Entrambe, pur avendo una natura acustica, mostrano uno spirito vicino a quello di certa new wave anglo-americana degli '80-90. I bei cori fanno la differenza e rendono questi brani godibili, qualcosa di più di semplici riempitivi, utili a far sì che il disco diventi decisamente più eterogeneo, pur senza abbassarne la tensione generale. 

Spring Gazing è un breve intermezzo con una voce di bimbo a recitare un estratto dal testo della poetessa cinese Xue Tao su una base di armonici di chitarra, invero un po' inquietante, ma perfetto per introdurre l'evocativa Long Dead Street Musician, ennesima ballad del disco, con un peculiare ritmo marziale che esalta un retrogusto di folk britannico che si esplicita soprattutto nel ritornello corale, uno dei momenti migliori di tutto il disco. Si torna in territori più rock con l'upbeat di Birds of the Wild West, brano con ancora la fisarmonica a farla da padrona. Un bel testo, le acustiche a macinare chilometri, la ritmica a far battere il piedino e le solite belle voci; ci sono tutti gli ingredienti per un brano che dal vivo si farà certamente apprezzare. 

La title-track ci trasporta inaspettatamente nella fredda atmosfera della Seconda Guerra Mondiale. È un brano splendido, inutile girarci attorno; qualcuno probabilmente dirà fin troppo Dylaniano, ok, ma avercene di brani così. Testo bellissimo, arrangiamento perfetto, è puro oro liquido. E se ancora non bastasse c'é la conclusiva What Will You Do Now, una commovente composizione per piano, voce e poco altro, anch'essa a livelli sublimi; la cantasse Tom Waits, tanto per dire, si urlerebbe al capolavoro. Da sole queste ultime due composizioni valgono il costo dell'album, fidatevi.

Disco dell'anno? Chi l'avrebbe detto? (8,5/10)

The Felice Brothers su Bandcamp
The Felice Brothers