lunedì 29 maggio 2017

Dan Auerbach - Waiting On A Song (Easy Eye Sounds)


Avesse pubblicato questo disco dieci anni fa, Dan Auerbach si sarebbe ritrovato senza ombra di dubbio a spiazzare in toto critica e pubblico; 'Waiting On A Song' è il risultato di un lungo lavoro di affinamento del proprio linguaggio musicale: dallo scabro e sbilenco rock sporco di blues dei Black Keys, giunto nel lasso di un decennio ad un boom di popolarità per molti inaspettato ma non così imprevedibile, vista la costante deriva verso un midstream furbetto, si è arrivati ad un pop-rock di stampo vintage che non sorprende più di tanto, in quanto coerente con il ruolo di appassionato musicofilo e amante delle atmosfere retrò che il nostro negli anni ha saputo interpretare con credibilità e lungimiranza, in veste di musicista ma anche di produttore.

Il cantautore da Akron ha presentato questo album come "a whole history of everything I love about music" e da più parti si è temuto che il miscuglio di generi potesse dare vita ad un'accozzaglia di composizioni slegate tra loro. Per fortuna così non è stato, sebbene il disco mostri i pregi e i difetti di un'opera che volutamente richiama le atmosfere del passato senza la pretesa di attualizzarle. Auerbach sa fare il proprio mestiere con arguzia, ha sufficiente esperienza in studio per poter dare ai brani una forma coerente con il progetto ed il risultato è interessante e destinato ad avere un buon impatto anche sul pubblico, visto che la componente pop dei brani è decisamente catchy.

Per ottenere sonorità adatte al mood voluto il nostro si è affidato al fonico Fergie Ferguson (Johnny Cash) ed ha invitato in studio musicisti dotati di curriculum di tutto rispetto: il bassista Dave Roe (Johnny Cash, John Mellencamp), il batterista Gene Chrisman (Elvis Presley, Aretha Franklin) e il pianista Bobby Wood (Elvis Presley, Willie Nelson), oltre a guest star del calibro di Duane Eddy e Mark Knopfler. Con quasi 60 pezzi su cui lavorare, Auerbach ha potuto modellare l'album con una certa libertà d'azione, spesso dando sfogo ad un'attitudine da fan della musica che si esprime chiaramente in alcuni riusciti episodi.

Dimenticatevi dunque l'esordio solista 'Keep It Hid' (2009), siamo decisamente in un'altra dimensione, nella quale è facile sentire una vocina esclamare "questa mi ricorda qualcosa...", ma fa tutto parte del gioco, è un disco che va interpretato come una sorta di tributo al background dell'autore.  Gli episodi migliori sono certamente la title-track, composizione estiva dall'anima sixties, con i Beach Boys nel cuore e un bel basso pulsante a tirare la carretta, Malibu man, quadrata nella ritmica, con organo e sezione d'archi tamarri al punto giusto, e King of a one horse town, ballata soave dalle sonorità cinematografiche. L'ostinato Undertow, l'acustico Never in my wildest dreams e lo psychobilly Livin' in sin sono brani di tutto rispetto e mantengono vibrante quel fascino positivo che percorre un po' tutto il lavoro.

Alcuni episodi paiono invece citazioni un po' bislacche: Cherrybomb potrebbe essere un brano del Beck più sconvolto, mentre Stand by my girl è uno zibaldone sconclusionato, tra George Harrison e Fatboy Slim. Ma nonostante questo florilegio di citazioni, l'album, anche grazie ai poco più di 33 minuti di musica che contiene, si fa ascoltare tutto d'un fiato, risultando leggero e divertente. Giudicare un disco di questo tipo non è facile; si può punire una certa mancanza di originalità oppure valutarne l'efficacia nel riproporre sonorità del passato con gusto e una certa raffinatezza. Questa volta vince la godibilità dei brani, ma attendiamo Auerbach al varco. (7,5/10)