A ventitrè anni
dallo scioglimento degli Uncle Tupelo, l'eredità della band che più di tutte rappresentò le
istanze dell'Alternative Country resta saldamente nelle mani di Jay
Farrar e dei suoi Son Volt. Se i Wilco dell'ex-socio Jeff Tweedy
hanno rivoltato più volte le carte in tavola, all'inseguimento di
una sperimentazione sempre di alto livello, ma con una volontà di
spaziare tra i generi che spesso ha reso poco coeso il loro percorso
artistico, Farrar e compagni, più concretamente, hanno proseguito
nella definizione del suono Americana.
Lo hanno fatto
pubblicando otto album in ventidue anni, prendendosi una pausa di
riflessione tra il '99 e il '05 e subendo forti sconvolgimenti nella
line-up; tranne il solo Farrar, gli avvicendamenti hanno riguardato
tutti i musicisti. Tutto questo mantenendo una continuità nella
proposta musicale che fortunatamente li ha tenuti lontani dagli
stereotipi che spesso affollano il genere o portano le band a
ricercare un consenso AOR che degenera in macchietta.
Questo album è
stato presentato come una sorta di svolta verso il blues per Farrar e
soci, nelle note destinate alla stampa sono stati inseriti i nomi di Skip James, Mississippi Fred McDowell e, sebbene gli stilemi delle dodici battute facciano capolino in
alcuni pezzi, anche grazie ad un uso della slide accentuato, il
mood del disco è ampiamente nei canoni della band: rock di grana
grossa con suoni fuzzy e crunchy molto spinti, ballate
sognanti e country riveduto e corretto, con la caratteristica voce
strascicata e dolceamara di Farrar in primo piano.
Ne risulta un
lavoro molto eterogeneo, spesso potente, con pezzi tosti come Solid
e Lost souls, nei quali le chitarre possono lasciarsi
andare ad accordi distorti e granitici riff. Come detto il blues
affiora in brani quali il sincopato stomp Cherokee St e nella
tirata Sinking down, boogie alcoolico che si trasforma in
ballata younghiana, oppure nella notturna Midnight, con la
voce filtrata e la ritmica distante a creare un'atmosfera da
desertico modern-blues. Nel lotto spiccano anche il più rassicurante country soul di Promise the world e il jangle in REM-style di Back against the wall.
Un album vario,
coerente col percorso di Farrar, il quale non fa dell'originalità il
suo punto di forza ma riesce comunque ad approcciare la grande
tradizione musicale americana senza risultare sterilmente derivativo
o privo di identità.