giovedì 9 febbraio 2017

Elbow - Little Fictions (Polydor)

L'annuncio della defezione da parte del batterista Richard Jupp, giunto appena prima dell'inizio delle sessions per questo nuovo album, ha sorpreso non poco i fans della band di Manchester che, in oltre venticinque anni di storia, non aveva mai visto avvicendamenti nella propria formazione. Ridotti a quartetto, i nostri hanno dunque messo mano al materiale per Little Fictions, ingaggiando il validissimo Alex Reeves, session man con un curriculum di tutto rispetto, già dietro ai tamburi per l'album solista di Guy Garvey (Courting The Squall, 2015). 

Ed è proprio nell'approccio ritmico che si trovano le novità più interessanti di questo lavoro, il settimo in studio per gli Elbow; Reeves non solo si dimostra batterista dotato di un groove solido e personale, ma arricchisce il sound con suoni e colori molto variegati, inserendosi perfettamente nel contesto della band, senza snaturarne le sonorità, anche per merito della produzione ben calibrata di Craig Potter. Gli arrangiamenti sono al solito ricchi e raffinati, in studio la band si è avvalsa della collaborazione della Hallé Orchestra e del coro della London Contemporary Voices. Il risultato è un album in perfetto Elbow-style, con una manciata di ottimi brani, la splendida voce di Guy Garvey all'apice delle proprie potenzialità espressive e una interessante varietà stilistica nel reparto percussivo.

I brani hanno il consueto impatto antemico, con i ritmi ipnotici di Reeves ben coadiuvati dal basso irrequieto di Pete Turner e i fratelli Mark e Craig Potter (chitarre, tastiere) a creare paesaggi evocativi sui quali si innestano le evoluzioni di coro e archi; su tutto la riconoscibilissima vocalità di Garvey, lirica e potente. L'iniziale Magnificent (she says) è una perfetta dichiarazione di intenti, sintomatica di quanto l'album abbia goduto di un approccio positivo nella lavorazione: il tema dell'amore visto con speranza e passione, cantato con convinzione su una base dalla struttura complessa, nella quale dominano gli ostinati di basso e orchestra.

Di fondo c'é una certa malinconia, da sempre nella cifra stilistica della band, ma in questo caso smussata, appena percettibile. Trust the sun è un altro episodio degno di nota, con l'intro costituita da un tappeto ritmico insistente che ad un tratto si defila, per liberare la voce di Garvey sostenuta da un piano misurato che infonde drammaticità al cantato quasi recitato. All disco parte con chitarre alla Velvet Underground, su una ritmica vintage in perfetto stile West Coast e snocciola l'ennesimo grande testo. Head for supplies è una piccola gemma, con una splendida chitarra, un bel crescendo corale e atmosfere intime.

La ritmica fa da apripista anche in Firebrand and angel, il brano più sperimentale dell'album che, non avendo un inciso riconoscibile e definito, può vagare in territori lontani dalle consuete sonorità british della band. K2 e il successivo Montparnasse sono invece brani 100% Elbow e, a fronte di una certa ripetitività riscontrabile ad un primo ascolto, crescono alla distanza. Il brano che dà il titolo all'album è sicuramente il pezzo più ambizioso, con struttura e arrangiamenti complessi. Si sviluppa in un crescendo ritmico-armonico molto ricco, spezzato da cambi di tempo e dinamiche per oltre otto minuti, non facilissimi ma stimolanti.

Segue Kindling, a riportare tutto ad una dimensione più semplice, con un bell'impianto di chitarre e percussioni, e la voce che si può lasciare trasportare dall'atmosfera soffusa creata dagli archi. Garvey e soci portano a casa un lavoro nel quale la ricercatezza sonora e la buona vena compositiva si fondono perfettamente, a creare un quadro d'insieme raffinato e convincente. Il pop-rock britannico sa di poter sempre contare sugli Elbow e Little Fictions è l'ennesimo ottimo album nella non vasta ma importante discografia della band mancuniana. Una certezza.