martedì 21 febbraio 2017

Chuck Prophet - Bobby Fuller Died For Your Sins (Yep Roc)


Descritto dall'autore come un'opera in stile California noir, nella quale le contraddizioni della terra all'estremo Ovest degli Stati Uniti, culla del sogno ma anche luogo di disparità sociale, costituiscono l'ispirazione principale per una stesura dei testi lucida, diretta e con l'ironia che il nostro sa dosare come pochi altri, questo Bobby Fuller Died For Your Sins ci presenta un Chuck Prophet in forma smagliante.

L'ex-Green On Red possiede ancora una penna capace di lasciare il segno, sia quando rimane nei canoni del suono Americana, con ballate sapide e momenti folkie, sia nel momento in cui preme sull'acceleratore e torna alle atmosfere distorte della storica band da Tucson, Arizona. Su tutto le liriche che raccontano solitudini, amori drammatici, delitti insoluti e "la tensione tra finzione e realtà che si nasconde sotto la superficie", per dirla con le parole dello stesso Prophet.

Oltre a Bobby Fuller, sfortunato artista la cui morte resta uno dei misteri della California nera, nel disco sono citati diversi personaggi: Alex Nieto, 28enne brutalmente ucciso dalla polizia losangelina, al quale è intitolato il brano di chiusura, l'attrice hollywoodiana Connie Britton (nella ironica If I was Connie Britton), Alan Vega, frontman dei Suicide scomparso lo scorso anno (In the mausoleum), e la lunga lista di defunti eccellenti che ha caratterizzato l'anno appena trascorso (Bad year for Rock and Roll).

L'impianto è molto semplice: due chitarre distorte, basso carico di medi e batteria ben stoppata a gestire le strutture portanti dei brani, con l'inserimento di tastiere, chitarre hawaiiane e cori, a colorare lo spartito con piacevoli tinte vintage; infine la voce di Prophet, con il proprio stile inconfondibilmente strascicato, una sorta di bignami del vocalismo rock cantautorale degli ultimi 50 anni.

I brani da ricordare sono l'iniziale title-track, dal sapore retrò, con chitarre jingle-jangle, ritmica ostinata e un ritornello surf vincente, l'ironica Jesus was a social drinker -titolo pazzesco-, con atmosfere West Coast e un bel cantato quasi recitato; Post-war cinematic dead man blues -altro grande titolo-, brano dall'inciso che ti si inchioda in testa, la splendida ballata Open up your heart e le già citate Bad year for Rock and Roll e Alex Nieto, brani garage-wave che ci riportano indietro agli anni d'oro del Paisley Underground.

Un disco dalle tante sfaccettature, nel quale Prophet ha saputo coniugare tutte le peculiarità che ce lo fanno amare: la critica sociale esposta con sagacia ed ironia, la proposta musicale ben ancorata al passato ma fresca e mai banale e infine la capacità, con pochi scelti ingredienti, di ottenere una miscela eccitante e divertente, un messaggio chiaro indirizzato a tutti coloro che continuano a pubblicare notizie allarmistiche circa lo stato di salute del rock. (8/10)