giovedì 23 aprile 2009

Hopeless Jazz Band - Caffé Doria 21/04/2009


Formazione attiva dai primi anni ottanta, tra le più longeve sulla scena milanese, la Hopeless Jazz Band propone un frizzante repertorio di jazz tradizionale bianco, con frequenti puntate in territori Swing e New Orleans-Style, interpretati con grande rispetto, entusiasmo ed una buona dose di sano divertimento. Guidata dal simpatico Gino Valdegrani, trombonista, cantante e musicologo di grande esperienza, la band ha all'attivo la partecipazione ad alcuni tra i più importanti festival italiani ed internazionali dedicati al jazz delle origini.


Per lungo tempo house band del Jazz Cafè di Corso Sempione, la “banda dei senza speranza” trova ora spazio nell'ottimo jazz club del Caffé Doria, per regalare al pubblico un tuffo nel passato, a riscoprire brani e personaggi di un'epoca lontana e piena di fascino.

Grande merito dunque alla band milanese ma soprattutto al locale attiguo all'Hotel Doria, il quale si dedica con passione ad un genere spesso sottostimato, allestendo un ricco cartellone mensile nel quale spiccano alcuni tra i più importanti jazzisti italiani della “vecchia guardia”.


La serata del 21 Aprile scorso ha visto una partecipazione di pubblico non numeroso, ma da un Martedì sera della pigrissima Milano di questi tempi non sarebbe stato comunque lecito aspettarsi di più. Band in buona forma, con il solito Valdegrani ad imperversare anche in veste di cantante, gigioneggiando da consumato crooner, e gli ormai fidati pards della sezione fiati, Francesco Licitra al clarinetto e Giancarlo Mariani alla tromba, a lanciarsi vicendevolmente gli innumerevoli assoli, caratteristica principale del genere, con il pianoforte del navigato Guido Cairo a tirare le fila, sospinto dalla batteria del giovane Alessio Pacifico e dal contrabbasso di Max Rovati (ospite in sostituzione dell'assente Giorgio Alderighi).


In scaletta una lunga serie di standard come I'm Gonna Sit Right Down and Write Myself a Letter, Basin Street Blues, Rosetta, I Found A New Baby, It's a Long Way To Tipperary, Tiger rag e l'immancabile finale di When The Saints Go Marching In.

Le piccole pecche in fase esecutiva, dovute sia alla mancanza di affiatamento con il contrabbassista “supplente” sia alle dinamiche della batteria, a volte fin troppo cariche, non hanno condizionato lo svolgimento della performance, godibile e mai troppo seriosa.

Due set separati da una breve pausa, nei quali la band ha dato fondo alle proprie energie, riempiendo il bel locale di via Andrea Doria di buone vibrazioni.