venerdì 23 gennaio 2009

Tango Concreto – Blue Note, Milano - 15/01/2009


La contaminazione tra generi si rivela spesso un’arma a doppio taglio; saper miscelare stili ed influenze differenti è arte estranea ad approssimazione o leggerezza, necessita di attenzione e cura certosina nella valorizzazione dei dettagli, allo scopo di raggiungere un risultato finale scevro da discontinuità o caos creativo.


Questa premessa per comprendere quanto sia difficile unire musica, poesia e danza in un insieme armonico e spettacolare, capace di coinvolgere il pubblico senza confonderlo con il sovra-dosaggio di qualcuno degli elementi.

La serata del 15 gennaio 2009 al jazz club di via Borsieri, ha lasciato un po’ di amaro in bocca per quella che è sembrata un’occasione mancata, un mix non completamente riuscito.


L’evento pareva più che promettente: un combo formato da ottimi musicisti, due ballerini quotati ed un poeta apprezzato per gusto e misura. Tutti ingredienti che, se ben miscelati, avrebbero potuto regalare una serata da ricordare.

Il risultato finale ha purtroppo mostrato dei limiti, soprattutto per quanto riguarda la regia. Sul palco ha regnato una sorta di approssimazione che non ha contribuito a valorizzare l’ensemble, creando invece una spaccatura tra le tre componenti, rendendo il tutto poco omogeneo.

L’idea di Max Cappa e Annalisa Di Luzio è sicuramente interessante, ma la fusione tra tango argentino e musica concreta al Blue Note è rimasta solo sulla carta.


Lo spettacolo, partito un po’ in sordina con due a solo poco incisivi di batteria e percussioni (Max Cappa e Manuel Cucaro), è entrato nel vivo solo con l’ingresso in scena del trio formato da Mario Stefano Pietrodarchi (bandoneon), Luca Lucini (chitarra) e Angelo Adamo (armonica). A seguire, i due ballerini (Carlotta Santandrea, anche al piano in alcuni brani, e Alejandro Angelica) che avrebbero dovuto chiudere il cerchio dando una forma definitiva al gruppo. 


Così non è stato, in quanto le situazioni sul palco alla fine dei conti si sono rivelate tre: il duo batteria/percussioni, coadiuvato da basi preregistrate (gestite in maniera alquanto artigianale) che ha sfiorato tutti i generi, dal jazz al rock, al trance; il trio bandoneon, chitarra e armonica ed infine la coppia di ballerini, bravi nel loro ruolo, ma all’apparenza un po’ distaccati dal resto del contesto.

La presenza di Davide Rondoni è stata intensa, sebbene limitata ad un reading di pochi secondi. Era lecito aspettarsi qualche momento di poesia in più, il quale avrebbe sicuramente arricchito la serata.


Lo spettacolo ha in definitiva sofferto questo distacco tra le varie componenti, accentuando la disomogeneità del progetto. Pietrodarchi, Lucini e Adamo sono stati sicuramente gli elementi più interessanti. Soprattutto il primo, nonostante fosse indisposto, ha dimostrato una forza espressiva strepitosa, in piena simbiosi col proprio strumento. Lucini può vantare un gusto notevole, distillando note con grande perizia, mentre Adamo incarna perfettamente il ruolo dell’armonicista nel tango argentino, permettendosi  solo d’atmosfera e ironici intermezzi.


Cappa e Cucaro sono ottimi musicisti, ma i loro ruoli risulterebbero più fattivi rivisti in un’ottica di gruppo. Le basi, se strettamente necessarie, andrebbero gestite con un continuum più definito, che mantenesse sempre alta l’attenzione.


In definitiva, questo progetto per decollare necessiterebbe di una regia più attenta, che costruisse l'esibizione nei minimi particolari, allo scopo di creare uno spettacolo lineare, ben rifinito, nel quale possano esserci spazi per l’improvvisazione, contenuta nei limiti di una proposta che porti lo spettatore in una dimensione ibrida atta ad unire le arti armonicamente.