mercoledì 31 ottobre 2018

The Burned - Blood of the Land (Self-Released)


di Luca Salmini

Per farsi un'idea di quali e quante suggestioni riempiano la musica di The Burned, bastano forse le parole del bassista Kevin Colomby: “...le sue canzoni evocano ardori selvaggi e braci morenti e quei pensieri che vengono in mente quando si sta svegli tutta la notte, sotto un grande cielo di stelle...”, ma è molto difficile capire come, dopo un mezzo capolavoro come “Blood Of The Land”, la celebrità della band sia ancora tanto effimera, se non proprio pari a zero. Forse saranno gli otto anni trascorsi tra l'esordio omonimo del 2010 e i due EP pubblicati solo oggi, 'Dark Red Sun' e appunto l'ultimo 'Blood Of The Land', o magari il tenore di canzoni troppo country per il pubblico rock e viceversa, sta di fatto che Kurt Baumann e i suoi The Burned rimangono uno dei segreti meglio custoditi d'America, per usare una trita locuzione spesso in uso presso la stampa d'oltreoceano. 

E dire che i presupposti per suscitare un minimo di interesse non mancano affatto, visto che Baumann vanta una biografia che pare la trama di un romanzo e che le sue fonti d'ispirazione (Willie Nelson, Kriss Kristofferson, Johnny Cash) rappresentano da sole una bella fetta della storia della musica statunitense, anche se a dire il vero è solo in 'Blood Of The Land' che la loro influenza ha una forte incidenza sulla forma più asciutta dei suoni e sul maggior risalto conferito al songwriting. Per usare un'espressione di Baumann “...per me la musica assomiglia all'incrocio tra Johnny Cash e i Pink Floyd...”, ma 'Blood Of The Land' sembra piuttosto sospeso tra il lato fuorilegge del country (quello battuto dai nomi sopracitati e da spiriti ribelli come Townes Van Zandt) e le narcolettiche malinconie di Bill Callahan, segnando un netto distacco dalle sonorità art-rock e dark-wave che caratterizzavano i lavori precedenti con una manciata di ballate lente, profonde e d'ambientazione western, che profumano di deserti e praterie quanto un romanzo di Cormac McCarthy. 

Baumann imposta il baritono come un solitario cowboy in una serenata alla luna e la band lavora per sottrazione, mescolando acustico ed elettrico e alzando suoni come manciate di polvere nella meravigliosa marcia funebre di A Man Who Knows, nello spettrale rallenty honky tonk di una quasi caveiana Old Bones, nel lirismo coheniano di una grandiosa Hangman, nel romantico dondolio country&western di un'incantevole Trigger e nelle minuzie acustiche di una ispiratissima A Whisper To The Wind. Solo cinque canzoni, ma che a questo punto valgono un'intera carriera o addirittura una vita come quella intensissima di Kurt Baumann, che, come per magia, sembra essere tutta qui racchiusa nelle pieghe più profonde e poetiche del canto e nel contemplativo movimento degli strumenti di 'Blood Of The Land'. (8/10