lunedì 26 febbraio 2018

Recensioni Brevi: Szlachetka, The Low Anthem

Szlachetka - Heart of my Hometown (Autoprodotto)













Cantautore 38enne dal Massachusetts, con un cognome tutt'altro che facile da pronunciare (vedi il video), Matthew Szlachetka è uno dei tanti artisti che negli ultimi anni hanno deciso di giocarsi la carta del trasferimento a Nashville, in cerca di una svolta per la propria carriera. E l'aria frizzante del Tennessee ha portato il Nostro a realizzare un album di ottima fattura, nel quale convivono gli stilemi del cantautorato anni '70 e le atmosfere del movimento Americana più recente, in un mix che funziona decisamente bene. Undici brani freschi e intensi, prodotti con l'aiuto dell'esperto David Bianco (Bob Dylan, John Mellencamp, Lucinda Williams), e caratterizzati dal bel timbro vocale di Szlachetka, ben inserito in un tessuto fatto di arrangiamenti misurati e suoni naturali, molto puliti. Brani migliori l'iniziale Algebra, classica ballad dolce-amara con gli strumenti a corda in grande spolvero, l'epica stradaiola title-track, il tenue finger-picking di A Letter Each Morning e l'articolata Ladder to the Stars. Un personaggio da seguire con molta attenzione. (7,5/10)



The Low Anthem - The Salt Doll Went to Measure the Depth of the Sea (Joyful Noise)













E' interessante notare come gran parte degli act assurti agli onori della cronaca nell'ultimo decennio, un periodo di hipsterismo collettivo, stiano seguendo un iter pressoché identico: dalla inquietudine calma dei suoni neo-folk, trasmigrano verso fascinazioni electro-minimali, abbandonando le camicie di flanella, le lunghe barbe e la pacifica tranquillità degli Appalachi, per avvicinarsi ad atmosfere sperimentali spesso fin troppo involute, in alcuni casi sintomo di una vena compositiva ai limiti dell'esaurimento. Questo lavoro del quartetto dal Rhode Island, un concept album la cui genesi risale al terribile incidente che nel Giugno 2016 obbligò la band ad uno stop forzato, è in qualche modo emblematico; un album che in alcuni momenti dà la sensazione di essere un demo incompleto, finito chissà come in sala mastering. Alcuni elementi di interesse si intrufolano qua e là tra i solchi, rendendo brani come Bone of Sailor Bone of Bird, Gondwanaland e To Get Over Only One Side piccole gemme in un mare di esili suoni, retti da ritmiche elettroniche fin troppo simili una all'altra. (6/10)