martedì 23 maggio 2017

Recensioni Brevi: My Friend The Chocolate Cake, Colter Wall

My Friend The Chocolate Cake - The Revival Meeting (Self p.)














Ad un passo dai festeggiamenti per i trenta anni di carriera, il combo da Melbourne, nato da una costola dei Not Drowning Waving, sforna il nono album in studio; un lavoro nel quale ancora una volta riesce a far convivere stilemi musicali estremamente diversi tra loro, creando un delicato e piacevolissimo equilibrio, tutt'altro che labile. Attitudine cantautorale, folk-rock tra il vecchio e il nuovo continente, elaborate fascinazioni orchestrali, black humour tipicamente australiano e richiami ai grandi spazi del continente down-under si intersecano in maniera raffinata, sia nelle composizioni più adult oriented, come la ballad acustica Sleep the whole night through o l'anthem dal sapore brit-rock Easter parade, sia in quelle più ricercate, come la movimentata giga Satellite boy o la drammatica Cry beloved cry, che strizzano l'occhio alla chamber music di Penguin Cafe Orchestra e Arvo Pärt. Quindici brani, sei dei quali strumentali, con il riconoscibilissimo marchio di fabbrica di una band tra le più caratteristiche tra quelle nate nella terra dei canguri; un disco vario e multiforme che regala piccoli gustosi particolari in più ad ogni ascolto e che merita sicuramente un posticino tra i dischi della già citata PCO e quelli dell'aussie national treasure Nick Cave. (8/10)



Colter Wall - Colter Wall (Young Mary's Records)













Ciò che stupisce maggiormente nel long-playing di esordio firmato da questo 21enne canadese di recente trasferitosi a Nashville, è la capacità di sostenere praticamente tutto il peso delle composizioni con la sola forza delle corde vocali. Dotato di un timbro cavernoso e potente che altri vocalist sono stati in grado di ottenere soltanto dopo anni di eccessi e maltrattamenti della propria ugola, Wall è un cantautore figlio della grande tradizione americana, tra Johnny Cash e Townes Van Zandt, con all'attivo un EP (Imaginary Appalachia, 2015) passato pressoché inosservato. Per questo primo full-lenght ha coinvolto il produttore più gettonato del momento, quel Dave Cobb che pare trasformare in oro qualunque cosa sfiori, più una schiera di ottimi session men nashvilliani, ed è uscito dallo studio con un lavoro che ha fatto da più parti gridare al miracolo: un album di hard-boiled Americana come non ne sentivamo da tempo. Cobb si limita al minimo indispensabile, conscio che la forza del personaggio risieda in una vocalità potente e caratterizzante che abbisogna solamente di pochi azzeccati colori e contrappunti musicali. Thirteen Silver DollarMe and Big Dave e Bald Butte sono composizioni che mostrano un autore già ad altissimi livelli, da seguire con molta attenzione. (7,5/10)