martedì 9 maggio 2017

Recensioni Brevi: Mac De Marco, Hoops

Mac DeMarco - This Old Dog (Captured Tracks)













Lo stralunato cantautore canadese, ormai trasferitosi in pianta stabile a Los Angeles, per questo nuovo album abbandona i toni leggeri e macchiettistici della produzione precedente, allo scopo di pubblicare un lavoro 'di sostanza', evitando gli approcci musicali caricaturali e le cadute di stile grossolane. Ad un primo ascolto il disco lascia perplessi: da un momento all'altro ci si aspetta l'arrivo del colpo di scena greve, a ricordarci quanto il nostro ami stare in bilico tra ironia e cattivo gusto, tanto da far pensare che ci stia in qualche modo prendendo in giro. Per fortuna questo non avviene e il lavoro, nella sua minimale semplicità, scorre via senza intoppi, presentandoci un cantautore che, sebbene nelle interviste e nelle apparizioni pubbliche continui a giocare con l'immagine dell'intrattenitore di grana grossa, sta inaspettatamente raggiungendo una maturità musicale. DeMarco suona tutti gli strumenti dell'album, arrangiando i brani con pochi mezzi: batteria, drum machine, chitarra, tastiere e poco più. In alcuni episodi, come l'iniziale My old man e la scanzonata One another, può ricordare il miglior Beck; nei brani più carichi di suoni sintetici, come la sincopata For the first time e la riverberata On the level, spuntano sentori anni '80 tutt'altro che fastidiosi. Ma DeMarco piazza il meglio alla fine: Moonlight on the river e Watching him fade away sono due composizioni di grande spessore, le migliori di un album che merita più di un ascolto. (7/10)


Hoops - Routines (Fat Possum)













Per lavori come questo, primo sforzo discografico della band da Bloomington, utilizzare la frase "ha un che di già sentito" risulta un eufemismo fin troppo scontato; in questo disco è allineato un intero decennio di new wave anni '80, con tutti gli stilemi al loro posto: chitarre filtrate da chorus e riverberi in abbondanza, batteria lo-fi, tastierine agrodolci e una voce nasale annegata negli effetti. Ascoltarlo è come fare un viaggio nella macchina del tempo, sbucando in uno studio di Londra, Liverpool o Manchester, in pieno 1983. Il combo pare avere recepito la lezione di band come Style Council, Cure, Echo And The Bunnymen e Smiths, giusto per fare nomi, riproponendone le sonorità senza preoccuparsi troppo di rielaborarle o attualizzarle. Il risultato è un album che ha un suo perché in funzione dell'effetto nostalgia che può provocare nell'ascoltatore più datato, o se utilizzato come viatico verso la scoperta dei dischi delle formazioni sopra citate, per i novizi. Di positivo c'é una certa freschezza nelle composizioni come Rules, Burden o The way love is, ma se non siete appassionati del genere, dopo poche note c'é il rischio che la noia prenda il sopravvento. (6/10)