venerdì 28 aprile 2017

Willie Nelson - God's Problem Child (Sony Legacy)


Se volessimo trovare in questo bel disco i versi più calzanti per definire la statura del personaggio, basterebbe scorrere il testo della divertente Still not dead, composizione nella quale il fuorilegge texano canta con non poca ironia:"qualcuno dice che i miei ritmi ucciderebbero un uomo normale, comunque nessuno ha mai detto che io sia normale". Come dar torto alle parole di un ottantaquattrenne iperattivo come pochi, sia in studio che sul palco, praticamente adorato da una nazione intera? Willie Nelson ha ormai superato anche lo status di leggenda vivente o di tesoro nazionale, come gli statunitensi amano definire i loro beniamini, finendo per essere letteralmente venerato come una sorta di divinità pagana, icona vagamente anarchica, ultimo baluardo del sogno americano più genuino e sincero.

God's problem Child è un album di razza, con il suono Americana di Nelson, sempre filtrato dal caratteristico sottile velo di malinconia, gestito in maniera sublime dalla produzione di Buddy Cannon (anche co-autore di gran parte dei brani), fondamentale nell'elaborare una struttura pulita e dinamica per le tredici composizioni contenute nella raccolta, nel rispetto della tradizione ma con sonorità tutt'altro che old-style. Lo scorrere del tempo è uno degli argomenti cardine del lavoro, così come la conseguente perdita di tanti amici e colleghi, ai quali Nelson dedica commossi tributi, carichi di emozione. E' il caso della splendida He won't ever be gone, scritta da Gary Nicholson per Merle Haggard e della title-track, bluesata ballad firmata da Jamey Johnson e Tony Joe White, che vede Nelson duettare con Leon Russell in una delle ultime registrazioni dell'artista da Lawson.

Ma sono i brani originali a costituire la possente ossatura dell'album, dalla delicata ballata True love, intensa ed emozionale, alla cadenzata Delete and fast-forward, composizione che riporta l'album coi piedi per terra, affrontando i temi della politica americana ai tempi di Trump, passando per il divertente swamp-country della già citata Still not dead, che secondo le anticipazioni avrebbe dovuto dare il titolo all'album, e per il pacato waltz-tempo di Lady luck; Nelson porta a casa in scioltezza un album dalla grande vitalità, onesto e sincero, con una fortunata scelta di brani e una produzione assolutamente all'altezza. (8/10)