lunedì 10 aprile 2017

Recensioni brevi: String Cheese Incident, The Wild Reeds

String Cheese Incident - Believe (SCI Fidelity)













Decimo album, settimo in studio, per la jam band dal Colorado, registrato tra le pareti del casalingo SCI Sound Lab, con la produzione dell'ex-Talking Heads Jerry Harrison, già al mixer nel precedente A Song in My Head (2014). La formula è quella di sempre: una miscela fresca e spumeggiante di rock, pop, bluegrass e psichedelia, con tra i solchi qualche spruzzata di latin e black, cocktail che si rivela ancora una volta vincente. L'atmosfera del disco è molto rilassata e leggera, i pezzi scorrono fluidi e convincono, pur non essendo epocali, soprattutto grazie alle pulite sonorità tra rock e pop, con qualche divagazione vintage nel reparto tastiere, che Harrison ha saputo infondere ai brani. Ottime la potente Believe, la delicata ballad My one and only e la saltellante Get tight. Buono il resto, solo un paio di episodi appaiono forzati: la dance stereotipata di Stop drop roll e il pasticcio elettronico della conclusiva Beautiful, ma in definitiva siamo di fronte a un disco molto godibile per una band che, a un passo dai venticinque anni di carriera, ha ancora qualcosa di interessante da dire. (7/10)


The Wild Reeds - The World We Built (Dualtone)













Le losangeline Sharon Silva, Kinsey Lee e MacKenzie Howe, riunite sotto la denominazione Wild Reeds, sono un trio di giovani cantautrici decisamente interessante, giunto alla seconda prova sulla lunga distanza, a tre anni dal già promettente Blind And Brave. Se il lavoro precedente si muoveva in ambiti prettamente acustici, con una vena country-folk molto accentuata, questo nuovo album vira verso un approccio più elettrico, sempre nel solco della tradizione ma in funzione di una ricerca sonora più strutturata e intrigante, con il classico suono roots nel cuore e una strizzata d'occhio a una certa estetica pop. Le personalità delle tre autrici sono diverse e complementari e l'alternarsi della solista nei brani, nonché la grande abilità nelle armonizzazioni vocali, rendono l'album ricco e variegato. Il produttore Peter Katis (Mercury Rev, The National) ha scelto sonorità ricche, forse fin troppo per i puristi del suono Americana, ma l'appeal del gruppo potrebbe giocarsi parecchie carte anche in ambiti più mainstream, per cui una certa magniloquenza ha ragion d'essere. Brani migliori dell'album la arpeggiata Everything looks better, la ballad profumata di soul Not an option, la sognante Back to Earth e la maratona in crescendo di Fruition. (7,5/10)