mercoledì 1 marzo 2017

Rhiannon Giddens - Freedom Highway (Nonesuch)



Fresca quarantenne, la cantante e polistrumentista in forza ai Carolina Chocolate Drops pubblica il secondo lavoro in studio, seguito del pluripremiato Tomorrow Is My Turn (Nonesuch, 2015). Se quell'album la presentava più in veste di interprete che di autrice, questo Freedom Highway si affida alle composizioni originali, lasciando comunque un piccolo spazio per due cover, una delle quali dà il titolo all'album: la splendida Freedom highway degli Staple Singers (1965) reinterpretata con gusto vintage, tra fiati e chitarre swampy

La produzione, nelle mani dell'esperto Dirk Powell, privilegia un suono minimale, quasi cupo, nel quale le percussioni svolgono un lavoro fondamentale, cadenzando i brani con pulizia e rigore. Gli arrangiamenti sono misurati e permettono all'anima gospel delle composizioni di emergere in purezza, con la bellissima voce della Giddens a dare il meglio di sé. 

Se il disco di esordio, prodotto da T Bone Burnett, poteva contare su arrangiamenti molto raffinati che mettevano in luce soprattutto l'impronta classica che caratterizza la vocalità dell'interprete da Greensboro, in questo lavoro Powell ha spinto l'acceleratore sul suono roots, mantenendo in giusto equilibrio le eccellenti qualità vocali dell'artista e la necessità di sviluppare un suono legato alla tradizione ma nel quale gli stilemi moderni si inseriscano senza forzare la mano o stonare. E' il caso di un brano come Better get it right the first time, gospel-blues pieno di groove, nel quale voci e fiati si lasciano andare a suggestioni anni '70, con il rap old-school di Justin Harrington, nipote della Giddens, perfettamente inserito nel finale. 

O come nella splendida Come love come, cadenzata invocazione nella quale l'arrangiamento, se pur ricco, resta in secondo piano per permettere alla voce di esprimersi in tutto il proprio vigore espressivo. Il disco spazia tra i generi con naturalezza; possiamo dunque ascoltare momenti vicini al jazz moderno, come nella riflessiva The love we almost had, soul-ballad sincopata, o nella divertente Hey bébé, sorta di street song in perfetto New Orleans-style, canzoni nelle quali i fiati godono di ampio spazio e gli arrangiamenti si fanno più articolati e gustosi. Il soul intriso di gospel di Birmingham Sunday, brano reso famoso da Joan Baez reinterpretato con gusto e convinzione, è una delle cose migliori di un disco comunque tutto ad altissimi livelli.

Il suono Americana non manca, nella forma di un roots-bluegrass oscuro e quasi ossessivo, specie nei brani più politici del lavoro, quelli in cui la storia afro-americana degli ultimi due secoli viene affrontata con grande consapevolezza, come in Julie e nella struggente Baby boy, oppure nell'iniziale, strepitosa, At the purchaser's option, che da sola vale l'acquisto dell'album. Un lavoro da non lasciarsi sfuggire, che ci presenta un'artista dotata e in grado di dare nuovo vigore al suono della tradizione. Un grande disco. (9/10)