mercoledì 8 marzo 2017

Recensioni Brevi: Valerie June, Colin Hay

Valerie June - The Order Of Time (Concord)













A quattro anni dal fortunato esordio Pushin' Against a Stone, la trentacinquenne cantautrice nativa del Tennessee ma ormai stabilmente di stanza a Brooklyn, ritorna nei negozi con questa sorta di concept album incentrato sul trascorrere del tempo, l'inevitabilità del cambiamento e la forza del misticismo. Un disco nel quale ritmi e sonorità africani si legano ad atmosfere psichedeliche, con blues e soul a guidare la scrittura, molto lucida e personale, della June. Ospiti dell'album, prodotto da Matt Marinelli (Bad Brains, Beck), il padre Emerson e i fratelli Patrick e Jason Hockett alle voci, più la special guest Norah Jones, presente in tre brani. La particolare vocalità della June ottiene ottimi risultati nei brani più onirici, come Long lonely road, The front door e With you; nelle composizioni più cariche di dinamiche si fa meno gradevole, a volte quasi bambinesca, dando l'impressione di essere un po' forzata. Questo aspetto non scalfisce comunque la forza espressiva dell'album e di una artista sicuramente da tenere d'occhio con attenzione. (7/10)




Colin Hay - Fierce Mercy (Compass)
Giunto al tredicesimo album in studio a proprio nome, il cantautore australiano è ormai ben lontano dal grande successo di pubblico ottenuto con i suoi Men At Work negli anni '80, ma può mettere sul piatto una lunga e onorata carriera, sempre a buoni livelli, vissuta stabilmente on the road. Per produrre questo Fierce Mercy, Hay si è recato a Los Angeles e Nashville, dove ha condiviso il mixer con Vance Powell (Chris Stapleton, Jack White) e Gordon Hammond (Willie Nelson, Don Henley), coinvolgendo una lunga serie di musicisti tra i quali vale la pena ricordare Audley Freed (Sheryl Crow) e Doug Lancio (John Hiatt). I brani sono stati scritti con Michael Georgiades, collaboratore di vecchia data del nostro, e si pongono sulle coordinate di un soft-rock cantautorale, con la bella voce di Hay sugli scudi, sempre sorretta da una struttura di arrangiamenti piuttosto ricca. E' un disco molto americano nel mood, dal quale traspare una tranquillità esistenziale che rende leggero l'ascolto, con qualche momento in cui la sottile ironia torna a punzecchiare come ai vecchi tempi. Brani da ricordare: Frozen field of snow, I'm going to get you stoned, She was the love of mine. (6/10)