giovedì 9 marzo 2017

Conor Oberst - Salutations (Nonesuch)


A pochi mesi dall'uscita di Ruminations (Nonesuch, 2016), Conor Oberst torna con un album la cui genesi è stata molto particolare. Come spiegato dall'artista, il precedente lavoro nasceva con l'intenzione di essere un demo per voce, piano e chitarra, i cui brani sarebbero dovuti servire come tracce guida per la produzione di un album che il nostro pensava molto più strutturato, arrangiato per una band al gran completo. I feedback entusiastici ricevuti da amici e colleghi per quel demo furono tali da fargli decidere di pubblicare il tutto così com'era, crudo e minimale.

Oberst decise comunque di continuare il progetto iniziale per cui, lasciate alle spalle le fredde e solitarie atmosfere del natio Nebraska, si recò agli Shangri-La Studios di Malibu, per completare quello che sarebbe diventato Salutations, con la collaborazione dell'esperto batterista Jim Keltner (Neil Young, Bob Dylan, Jackson Browne), anche in veste di co-produttore, e dei Felice Brothers. Ecco dunque le dieci canzoni contenute in Ruminations tirate a lucido e re-interpretate in versione full-band. Come bonus nel disco sono contenute altre sette composizioni, frutto di una session tenuta ai Five Star Studios di Los Angeles, sempre in compagnia dei Felice Brothers.

Se Ruminations metteva in primo piano la grande capacità espressiva di un Oberst inserito in trame semplici e lineari, Salutations si apre su orizzonti più ampi, dando alle composizioni maggiore respiro, rendendole forse meno dense e cerebrali ma decisamente più gustose, soprattutto a livello musicale. I testi restano gli stessi di Ruminations, intimi e personali, ma in questa nuova veste assumono una forma meno tormentata, più riflessiva. Le atmosfere folk-rock sono spinte verso un mood da pub-song che suggerisce atmosfere alcoliche, le stesse ben rappresentate nel videoclip realizzato per il brano Till St.Dymphna kicks us out.

Troviamo quindi una manciata di ballate alticce, come Too late to fixate, Afterthought e Counting Sheep, nelle quali il lavoro degli archi infonde profumi quasi irlandesi e la voce di Oberst, sempre un po' tremolante, si fa più scanzonata; ma anche brani dal piglio decisamente rock, con riff di chitarra e tastiere in bell'evidenza. Dall'up-tempo di Napalm, brano dall'arrangiamento molto particolare, che unisce le cadenze indemoniate di un hammond ai contrappunti di una chitarra riverberata, lasciando sorprendentemente lo spazio per il solo al violino, al jingle-jangle ritmato di Anytime soon, fino ai richiami southern-rock di A little uncanny.

C'é spazio anche per qualche digressione più cantautorale, nelle dylaniane Next of kin, Tachycardia e Mamah Bortwick, brani che godono di arrangiamenti molto misurati, a circondare la voce del nostro di colori tenui. Come accaduto in altri lavori, un numero di composizioni così consistente potrebbe portare il disco a perdere in alcuni momenti il focus della tensione emotiva, ed effettivamente in Salutations ci sono un paio di episodi meno incisivi ma si resta comunque su livelli medio-alti, ci sarebbe tranquillamente materiale per due buoni dischi. 

Cantautore ormai maturo, Conor Oberst riconferma la bontà della propria poetica, ben inserita nel solco tracciato da autori come Dylan e Cohen. La collaborazione coi Felice Brothers, che proseguirà per il tour di presentazione dell'album, si è rivelata fondamentale per la buona riuscita di un lavoro completo e convincente. (7,5/10)