Personaggio cardine di un pregevole movimento musicale che nel giro di pochi anni è stato in grado di spostare gli equilibri di certa musica tradizionale americana in direzione di una visione "totale", caratterizzata dalla assoluta mancanza di confini artistici e di linguaggio, Christopher Scott Thile incarna appieno la figura del musicista contemporaneo statunitense: ex-bimbo prodigio con alle spalle studi classici e la gavetta di mille palchi di provincia, grande cultura musicale, totale assenza di proverbiali paraocchi o di atteggiamenti snobistici verso qualsivoglia genere musicale. Peculiarità che lo hanno portato a collaborare con una moltitudine di artisti di diversa estrazione, guadagnando rapidamente una credibilità che pochi altri musicisti possono vantare, mostrandosi per giunta abilissimo anche nel ruolo di entertainer e spalla di lusso, come spesso gli accade nelle vesti di conduttore della storica Prairie Home Companion.
Ricca la sua discografia, sia in solo -ha inciso il primo album a tredici anni- sia in compagnia di artisti del calibro di Edgar Meyer, Brad Mehldau, Yo-Yo Ma, Glen Phillips e Stuart Duncan; ma è con le band Nickel Creek e Punch Brothers che Thile ha probabilmente dato il meglio di sé a livello compositivo/artistico. Fino ad ora mancava però un lavoro a proprio nome che affrancasse la sua figura dal semplice ruolo di mandolinist-extraordinaire, da quel "Jimi Hendrix del mandolino" che spesso la stampa specializzata ha utilizzato per definirlo. Ecco dunque questo 'Thanks for Listening', album molto eterogeneo nel quale la bravura di Thile spicca non tanto a livello strumentale, quanto a livello compositivo e di interpretazione. La tracklist del disco è figlia di A Prairie Home Companion, in quanto allinea dieci delle diciannove "song of the week" composte appositamente per la stagione 2016/2017, registrate in compagnia del produttore Thomas Bartlett e di buona parte dei musicisti fissi nel cast del programma.
Oltre a Thile e Bartlett, nel disco troviamo dunque il basso di Alan Hampton, la batteria di Ted Poor, la viola di Nadia Sirota e le voci di Sarah Jarosz, Aoife O'Donovan e Gaby Moreno; talenti formidabili che arricchiscono i brani quasi che il lavoro fosse una sorta di "opera corale". I Made This For You apre il disco in maniera soffusa, con la voce sussurrata di Thile a farsi strada in una nebbia sonora che lentamente si disperde, lasciando spazio alle ampie evoluzioni degli archi, che incorniciano armonie vocali pregevolissime, portando alla mente la complessa freschezza del giovane Brian Wilson. Gran brano con pathos denso e palpabile, apertura che fa presagire grandi cose. Feedback Loop è ancora meditativa, ha un passo che la accomuna alle cose migliori di Fleet Foxes e Iron &Wine, con un sentore pinkfloydiano per nulla scontato. Splendide le voci e l'alternarsi di parti cariche di ambiente e parti minimali più flat.
Elephant in the Room è divertita e divertente, con un andamento dondolante quasi da moderno musical, bei cori in falsetto e un gusto leggero ma pregno, tecnicamente tutt'altro che semplice, sa di easy listening ma di gran classe. Douglas Fir è un duetto con la voce melliflua della bravissima Aoife O'Donovan, in gran spolvero. L'intermezzo è un poco ostico ma il brano ha una potenza espressiva notevole, per cui fa presto ad insinuarsi a livello emozionale e colpire duro. Thank You New York, scelta come singolo, ha il passo delle composizioni migliori dei Punch Brothers, gioca su crescendo e ostinato, con contrappunti continui, che portano infine ad un ritornello liberatorio, caratterizzato da vari cambi di tempo; è una sapida ballata moderna con un denso sapore vintage. Stanley Ann è il brano più emozionale dell'album, una dark ballad per piano e voce, con i rumori d'ambiente lasciati ad aggiungere ulteriore pathos. Anche in questo caso Thile va a toccare corde profonde con apparente semplicità, commuove e coinvolge.
Modern Friendship ci riporta a ritmi un po' più sostenuti, con grandi virtuosismi degli strumenti a corde e le voci a costruire complicate strutture armoniche, è un brano che necessita di un paio di ascolti per essere ben inquadrato. Il trittico finale è spettacolare: dalla sperimentale Falsetto, nella quale Thile inserisce sentori new wave e una vena pop moderna per certi versi sorprendente, alla conclusiva title-track, che sfrutta sample elettronici per svecchiare una struttura classicamente anni '70, con la drammatica viola della Sirota ad alternarsi splendidamente alla voce, passando per Balboa, composizione per sola voce e mandolino con un retrogusto dociastro che riporta al folk albionico più che agli Appalachi. Thile conferma quanto di buono detto finora, chi scrive lo considera già da qualche anno una delle figure fondamentali per il futuro della musica moderna statunitense, legata a doppio filo alle radici ma aperta a qualunque forma di contaminazione. Disco che arriva giusto giusto per la classifica di fine anno. 8,5/10