L'Arena Alpe Adria è una struttura molto particolare, progettata per ospitare eventi musicali di media portata (capienza dichiarata circa 2500 posti) e situata a due passi dal centro storico della frequentatissima località balneare friulana. Scelta come location per l'unica data italiana delle due glorie del country texano, si è rivelata fin troppo ampia per un pubblico che, con una stima ottimistica, non superava le 150 unità. Evidentemente l'organizzazione pensava di poter contare su un bacino di utenza ben più ampio, magari comprendente, oltre a quelli italiani, i fan del genere sloveni e croati. Così non è stato e coloro i quali avrebbero preferito vedere il duo in azione sul palco di un piccolo club tra olezzo di sudore e sentori alcolici forse non avevano tutti i torti, dato che, oltre alla poca affluenza di pubblico il concerto, pur potendo disporre di un dispiegamento di mezzi di tutto rispetto, è stato penalizzato anche da una gestione dei suoni poco felice.
L'impianto di amplificazione era infatti più che adeguato, con imponenti colonne di diffusori e una bella schiera di sub utilizzati tutt'altro che con parsimonia da chi gestiva le operazioni al mixer, per la gioia della prima fila che, dopo un paio di brani, sceglieva quasi in toto di arretrare di qualche metro per evitare di uscire dal concerto rintronata come dopo un match contro il Tyson dei bei tempi. Effettivamente un club da 200 posti sarebbe stato l'ideale, anche per mettere più a proprio agio i musicisti, i quali ad inizio concerto parevano abbastanza demoralizzati per la scarsa affluenza. Questo non ha comunque inficiato la performance che è stata senza ombra di dubbio di altissimo livello, con un andamento in crescendo e una risposta del pubblico molto calorosa.
Watson, Benson e soci non si sono risparmiati, proponendo nelle due ore di concerto quasi tutti i brani del recente Dale & Ray (Mailboat, 2017), alternati ai rispettivi cavalli di battaglia, mettendo in campo un gran vigore e una coinvolgente carica di simpatia. Tra un pezzo e l'altro i due hanno inscenato un botta e risposta continuo, snocciolando battute, ricordi, tributi ad amici scomparsi e qualche divertente marchetta alla Lone Star Beer, il tutto con forti dosi di autoironia, costantemente innaffiato da grandi quantità della bionda bevanda. Sul palco, oltre alle belle voci baritonali e alle Telecaster dei due leader, la sezione ritmica formata dalla batteria di Mike Bernal e il contrabbasso di Chris Crepps, lo straordinario violino di Dennis Ludiker e la steel guitar di Don Pawlak, quest'ultima lo strumento più penalizzato dall'impianto, in diversi momenti praticamente assente.
Tra western swing, old style, divagazioni rockabilly e outlaw, i due hanno messo sul piatto un repertorio fieramente ameripolitan, trasportando i presenti nell'universo del country tradizionale, quello che faticosamente cerca di non soccombere allo smielato pop mascherato da country degli artisti mainstream nashvilliani. Uno spettacolo che come detto meritava una location meno pretenziosa e un pubblico più numeroso, ma di questi tempi bisogna accettare quello che passa il convento, accontentandosi di poter dire:"noi c'eravamo."
(video da Youtube; foto di Carlo Merlo)