lunedì 20 febbraio 2017

Jesca Hoop - Memories Are Now (Sub Pop)


Cantautrice dallo stile molto riconoscibile, con alle spalle diverse collaborazioni eccellenti, ultima in ordine di tempo quella con Sam Beam/Iron & Wine per l'ottimo Love Letter For Fire (Sub Pop 2016), Jesca Hoop pubblica, in questo inizio di 2017, quella che con tutta probabilità è l'opera più completa della sua discografia; un album in cui le notevoli doti dell'artista californiana possono esprimersi pienamente, presentandoci un'autrice molto ispirata, capace di definire un proprio personalissimo stile.

Il merito di questo buon risultato va ascritto anche alla ottima produzione di Blake Mills (Alabama Shakes, Laura Marling, Fiona Apple), già dietro le quinte nei due lavori precedenti firmati dalla Hoop, il quale agisce di cesello per modellare strutture minimali che non appesantiscano i suoni dell'album, lasciando ampio spazio espressivo alla voce e alla personalità dell'artista.

Il trittico iniziale è tutto sostanza: dalle atmosfere sghembe della title-track, interessante divagazione blues dal tempo spezzato, quasi claudicante, con un uso delle voci molto originale, alla più sostenuta The lost sky, che da sola vale l'acquisto dell'album; pregna di malinconia e disillusione, con un testo forte incentrato sulle difficoltà di comunicazione in una coppia. Infine la splendida Animal kingdom chaotic, caratterizzata da una ritmica che vede il fingerpicking della chitarra accompagnato dai tasti di una macchina da scrivere e da un tamburo, con uno sviluppo armonico molto particolare, sul quale si innestano liriche che parlano dell'alienazione causata dall'esistenza virtuale ai tempi di internet.

Il brano seguente, l'ossessiva Simon says, è una specie di filastrocca dark decisamente più debole delle precedenti, non riesce a prendere completamente il volo. Meglio la seguente, la lunga Cut connections, basata su una ritmica ostinata, anche in questo caso con un vago sentore blues; brano dall'arrangiamento intrigante, si muove con dinamiche in continuo divenire, con la voce della Hoop che, più che cantare, ne declama il testo.

Segue Songs of old, ballata con archi in bell'evidenza, nella quale la voce si lancia in evoluzioni su tonalità dal basso all'altissimo. C'é qualcosa di ancestrale e mistico nel brano, che la voce di Jesca veicola attraverso sonorità sempre differenti, con richiami alla vocalità folk più genuina. Altro ottimo arrangiamento per Unsaid, brano dall'andamento rimbalzante con un bel lavoro di percussioni e voci molto ispirate. Non spicca per originalità compositiva ma tiene bene il passo con i brani che lo hanno preceduto.

Una bella chitarra acustica apre Pegasi, ballata soffusa cantata benissimo da Jesca, con un crescendo centrale di grande effetto, uno dei momenti migliori del lavoro. Finale evocativo, con la chitarra dal suono desertico di The coming, brano in cui la voce, quasi sussurrata, è affiancata da pochi contrappunti sonori. La Hoop ha definitivamente raggiunto la piena maturità compositiva e artistica, guadagnandosi di diritto un posto tra le migliori esponenti del cantautorato statunitense e questo album ne è la prova tangibile, merita più di un ascolto. (8/10)