A qualche mese di distanza dall'ultima fatica discografica di Thurston Moore, arriva nei negozi senza troppo clamore il dodicesimo lavoro in studio firmato dal 61enne Lee Ranaldo, un album decisamente più articolato di quello pubblicato dall'ex compagno di avventure nei Sonic Youth, per certi versi sorprendente, con il cantante e chitarrista da Glen Cove in ottima forma e particolarmente ispirato. Registrato nel corso dell'ultimo anno tra New York e Barcellona, con la produzione di Raul Fernandez e un cast di grandi musicisti che comprende il chitarrista Nels Cline (Wilco), il bassista Kid Millions (Oneida), Sharon Van Etten e il fidato batterista Steve Shelley, l'album spazia tra i generi con grande naturalezza, arricchito da una moltitudine di suoni ed effetti che ascolto dopo ascolto si svelano in tutta la loro complessità.
L'iniziale Moroccan Mountains è in qualche modo una dichiarazione di intenti: un brano di oltre sette minuti con un attacco evocativo sul quale si inserisce lo spoken di Ranaldo, il quale alterna strofe parlate a strofe cantate con splendido lirismo. Lentamente il pezzo si inoltra in un alternarsi di crescendo decisi e momenti pacati, per poi concludersi in un opulento finale, con tutti gli strumenti a detonare in un'esplosione folk di grande impatto. Gran pezzo. L'abbrivio è stato dato, ecco quindi l'epica Uncle Skeleton, caratterizzata da una ritmica elettro/acustica con batteria e percussioni etniche, molto interessante. L'inciso corre come un treno, per aprirsi su un bel tappeto di chitarre con la voce incalzante che in qualche momento porta alla mente il miglior Michael Stipe. Il trittico iniziale si chiude con il sincopato andamento marziale di Let's Start Again, brano con profumi british anni '60, molto intrigante. Anche in questo caso da segnalare il gran lavoro delle chitarre e l'ottima interpretazione vocale di Ranaldo.
Last Looks parte come una ballata intima, con una bella chitarra acustica sorretta da pattern ritmici elettronici ed effetti noise sommessi. Ospite del brano la splendida voce di Sharon Van Etten, che si intreccia alla perfezione con quella di Ranaldo, regalandoci una delle vette del lavoro. A metà del brano il ritmo si fa più sostenuto e le atmosfere si contaminano con sapori orientali e qualche bella distorsione che apre verso un andamento ancora una volta epico, per un finale tumultuoso. Circular, presentata anche come singolo, è una composizione nervosa, piuttosto muscolare nell'andamento, con stacchi e divagazioni psichedeliche che si palesano soprattutto nell'intermezzo centrale che sa tanto di Beach Boys. Meno incisivo degli altri, il brano risulta comunque intrigante, con l'ennesimo finale esplosivo, molto gustoso. La title-track torna su territori più oscuri, di nuovo con una batteria cadenzata e gli arpeggi di chitarra carichi di ambiente. I suoni si alternano ai rumori e il brano entra sottopelle con facilità, inquieto e coinvolgente, anche grazie alla affascinante parte centrale arricchita da ottoni beatlesiani e cori vintage.
La successiva Purloined è un filo più risaputa, parte bene con suoni e atmosfere dark e una grancassa a battere il quattro, ma si perde in un inciso non particolarmente riuscito, risultando il brano meno interessante della raccolta. Meglio la successiva Thrown Over the Wall, corale e chitarristica, una ballatona folk dall'incedere psiched-epico con un bel testo dalla poetica mistica, scritto da Jonathan Lethem, co-autore di gran parte delle liriche dell'album. Altro gran pezzo, oltre sette minuti davvero ben spesi. New Thing chiude l'album con gran classe, ennesima ballata nella quale il mix di acustico ed elettronica esce ampiamente vincitore. Ancora Ranaldo e Van Etten a guidare le danze su una struttura molto articolata, fatta di cambi di ritmo e atmosfere, voci ed effetti, suoni e rumori; ottima conclusione per un album ispirato, scritto e suonato alla grande, che merita più di un ascolto e troveremo sicuramente nelle classifiche di fine anno. (8/10)